Covid, allarme Cgia: «Un'impresa veneta su due a rischio chiusura»

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Crisi da Covid: un’impresa veneta su due è a rischio chiusura. Stando agli ultimi dati dell’Istat, infatti, sono ad alto e medio-alto rischio operativo quasi il 50 per cento delle imprese regionali, realtà che danno lavoro a poco più del 30 per cento degli addetti presenti nella nostra regione. La denuncia è dell’ufficio studi della Cgia dopo aver letto i dati presentati nelle settimane scorse dall’Istat.

A livello territoriale il rischio tenuta investe, in particolar modo, tutto il litorale adriatico, che va da Bibione fino a Rosolina Mare, l’Altopiano di Asiago e i comuni del Garda. Tutte realtà che vivono quasi esclusivamente di turismo. L’Ufficio studi della CGIA precisa che questo 50 per cento circa di aziende venete in seria difficoltà ha manifestato  forti perdite di fatturato e ha denunciato di non avere una strategia di risposta alla crisi.

Un’impresa veneta su due a rischio. Cgia: «Tagliare le tasse»

I ristori rischiano di non essere sufficienti. Vista l’urgenza, secondo l’Ufficio studi della Cgia è necessario,  applicare per l’anno in corso il lockdown alle tasse erariali ed erogare rimborsi più pesanti rispetto a quelli distribuiti fino ad ora. Gli artigiani mestrini stimano in altri 80 miliardi di euro le risorse che il Governo dovrebbe mettere in campo a livello nazionale entro la fine di luglio per salvare le attività economiche colpite dalla crisi pandemica.

Per evitare che i sostegni che verranno erogati nei prossimi mesi alle imprese siano utilizzati da quest’ultime per pagare imposte e contributi, è necessario sempre secondo la Cgia imporre il lockdown alle tasse erariali, consentendo alle partite Iva e alle piccole imprese di risparmiare  quest’anno attorno 28 miliardi di euro. Un importo che potrebbe essere ridimensionato consentendo l’azzeramento del peso fiscale solo alle attività con ricavi al di sotto di una certa soglia o sulla base della perdita di fatturato.

Questo mancato gettito di 28 miliardi è stato stimato ipotizzando di consentire a tutte le attività economiche con un fatturato 2019 al di sotto del milione di euro di non versare per l’anno in corso l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni. Queste aziende, che ammontano a circa 4,9 milioni di unità (pari all’89 per cento circa del totale nazionale), dovrebbero comunque versare le tasse locali, in modo tale da non arrecare problemi di liquidità ai Sindaci e ai Presidenti di regione.  Con 28 miliardi risparmiati metteremo le basi per far ripartire l’economia del Paese.

Servono ristori maggiori

Il Premier Draghi l’ha dichiarato nelle settimane scorse: «Questo è un anno in cui non si chiedono soldi, ma si danno». Oltre all’azzeramento delle tasse, gli artigiani si auspicano che l’esecutivo metta sul tavolo almeno altri 50 miliardi di euro entro luglio che consentano di rimborsare in misura maggiore le perdite subite dalle aziende e  permettano di compensare anche una buona parte dei costi fissi sostenuti.

Modalità, quest’ultima,  che la Francia e la Germania hanno applicato da alcuni mesi, avendo recepito le nuove disposizioni introdotte  dall’UE in materia di aiuti di stato alle imprese. Costi, quelli fissi (come gli affitti, le assicurazioni, le utenze, etc.) che, nonostante l’obbligo di chiusura e il conseguente azzeramento dei ricavi, le attività economiche continuano purtroppo a sostenere.

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