Che succede alla Banca Popolare di Vicenza?

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La Banca Popolare di Vicenza è al centro delle cronache di oggi: ha fatto molto rumore la perquisizione degli uffici dell’istituto di Vicenza, Milano, Roma e Palermo da parte della Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Vicenza. A quanto si apprende da un comunicato firmato dal procuratore capo Antonino Cappelleri, «gli atti d’indagine sono ritenuti indispensabili nell’ambito della più complessa acquisizione istruttoria, per rendere compiuta la necessaria e doverosa ricerca di elementi probatori documentali, intesa sia nell’accertamento e riscontro degli elementi di fatto sia all’attribuzione delle responsabilità soggettive».

Zonin e Sorato indagati

Le ipotesi di reato, per cui sarebbero indagati il presidente Gianni Zonin – in carica dal lontano 1996 – e l’ex amministratore delegato Samuele Sorato – nominato a quella carica nel febbraio 2015, già direttore dal 2008 e prima, dal 2002, vice direttore – sono aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Fra i due c’è stata una rottura in maggio, quando l’ad era stato allontanato dal cda (con una buonuscita che secondo l’Ansa ammonta a 5 milioni di euro) e sostituito con il nuovo manager Francesco Iorio, già direttore generale di Ubi Banca.

Samuele Sorato

Samuele Sorato

Lo scontro fra Zonin e Sorato è maturato in seguito agli accertamenti della Banca Centrale Europea che ha portato allo scoperto nei bilanci della Popolare 974,9 milioni di euro di prestiti erogati ai propri clienti in cambio dell’acquisto da parte loro di azioni della banca stessa, un modo per “gonfiare” gli aumenti di capitale succedutisi durante la gestione di Sorato (1,4 miliardi raccolti fra 2013 e 2014). Tutto ciò è uscito allo scoperto nel bilancio semestrale gennaio-giugno 2015 approvato il 28 agosto, chiuso con una pesantissima perdita di 1.053 milioni.

Non è finita, fra i due sembra tempo di resa dei conti: Zonin ha attribuito la responsabilità di quelle decisioni a Sorato contro il quale è stata ventilata una possibile azione di responsabilità da parte dell’attuale cda; Sorato è passato al contrattacco annunciando di passare alle vie legali contro Zonin e le sue dichiarazioni che ha definito «false e diffamatorie».

Aumento di capitale: garantisce Unicredit

Ma per comprendere il contesto è utile allargare lo sguardo. La Popolare di Vicenza è da mesi al centro di un complicato processo, obbligato dalla legge di riforma delle banche popolari che il governo Renzi ha approvato in marzo, su forte pressione della Bce di Mario Draghi: le popolari che hanno attivi sopra gli 8 miliardi di euro si devono trasformare, dall’attuale forma sociale cooperativa, in società per azioni entro il dicembre del 2016. Per questo in giugno è stato riformato lo statuto, prima dell’assemblea straordinaria – l’ultima con il sistema di voto capitario, “una testa un voto” – che dovrà approvare la trasformazione in spa. Poi in luglio il cda ha deciso che, una volta completata la metamorfosi della forma sociale, la banca debba essere quotata in Borsa.

Protesta dei soci Banca Popolare di Vicenza

Protesta dei soci Banca Popolare di Vicenza

I due processi sommati significano in sostanza l’apertura al mercato e la fine del sistema “protetto” secondo cui il valore delle azioni veniva stabilito dall’assemblea dei soci della banca: il valore delle azioni è rimasto così stabile negli ultimi anni, continuando ad attirare il denaro dei piccoli risparmiatori-soci. Fino al brusco risveglio dell’11 aprile 2015, quando la prima assemblea dei soci post-riforma, sulla scia del Comprehensive Assessment (il check della Bce su 130 banche europee), ha deciso un drastico taglio del valore delle azioni, che in un giorno sono state svalutate del 23%, passando da 62,5 a 48 euro. Secondo molti osservatori – fra cui il professor Ugo Rigoni docente a Ca’ Foscari – il crollo del valore era in una certa misura prevedibile.

Il malcontento dei piccoli azionisti – che sono anche scesi in piazza chiedendo le dimissioni di Zonin e del cda – è ingigantito dal fatto che la Banca d’Italia ha stabilito in giugno la possibilità per le banche di limitare il diritto di recesso, ovvero di vendita delle azioni, quando le condizioni finanziarie dell’istituto non lo permettano. È esattamente quanto sta succedendo alla Popolare di Vicenza (come pure a Veneto Banca) dove tanti piccoli azionisti sono in attesa da mesi di poter vendere le loro quote, senza poterlo fare.

Francesco Iorio

Francesco Iorio

Per rendere più solida la banca dal punto di vista patrimoniale e per farla rientrare nei criteri della Banca Centrale Europea, il dg Francesco Iorio ha avviato un nuovo aumento di capitale da 1,5 miliardi da completare entro la primavera del 2016. Proprio ieri, 21 settembre 2015, il cda ha approvato un accordo di garanzia con Unicredit. La banca ha bisogno di capitale fresco per rientrare nel target dell’indice Cet 1 ratio che misura appunto la solidità patrimoniale: gli stress test della Bce hanno misurato un indice di 6,8% per la Popolare di Vicenza, molto al di sotto dell’obiettivo fissato all’11%. Tradotto: “rischio elevato”. Con l’accordo con Unicredit viene “blindato” l’aumento di capitale.

I sindacati: “Non paghino solo i lavoratori”

La situazione è resa più tesa dalla notizia dell’inchiesta aperta dalla magistratura. L’associazione dei consumatori Codacons ha annunciato che si costituirà “parte offesa” contro la Popolare e, se emergeranno reati, avvierà una class action con gli azionisti. I sindacati dei bancari riuniti nel coordinamento Gruppo BpVi (che comprende Fabi, First Cisl, Fisac Cgil e Unisin) affermano che «i disastri che alcuni top-manager e i vertici della Banca hanno perpetrato negli ultimi anni a danno del tessuto sociale di molte regioni e di interi territori non possono rimanere impuniti. Da tempo – proseguono – abbiamo denunciato con volantini, comunicati, lettere alla Direzione e agli organi di Sorveglianza, prassi gestionali e commerciali non conformi alle norme».

Giuliano Xausa

Giuliano Xausa, segretario nazionale del sindacato Fabi

«Nostro timore è che in tutta questa vicenda i dipendenti siano gli unici a pagare per gli errori di un CdA a dir poco “distratto” e di un management che pare avere agito in modo “dissennato”» aggiungono i sindacati, che confidano che «la magistratura faccia piena luce» e accerti «in tempi rapidi tutte le eventuali responsabilità». Intanto incassano «la garanzia ricevuta in merito all’aumento di capitale annunciato dal nuovo Direttore Generale», una «concreta rassicurazione sulla solidità patrimoniale del nostro istituto». Poi si dicono in attesa di conoscere il nuovo piano industriale per valutare «le ricadute dal punto di vista occupazionale».

Interviene anche il segretario generale della Cgil di Vicenza, Marina Bergamin: «Quanto sta accadendo da mesi e in queste ultime ore non può che preoccupare – dice -, non solo le categorie sindacali che tutelano i lavoratori (per noi la Fisac) e i soci (per noi Federconsumatori) ma l’intero sindacato. Siamo certi che la magistratura farà la propria parte fino in fondo». Bergamin sottolinea l’importanza della banca per il tessuto economico del territorio e rivolge un appello al dg Francesco Iorio: «Dica a tutti, e alla città, qual è il suo progetto. Attendiamo con ansia la presentazione del nuovo piano industriale. Quello che è certo è che non possono essere i dipendenti e gli ignari soci a pagare per scelte che non hanno fatto, né saputo. Credo che come organizzazioni sindacali confederali dovremo chiedere un incontro con la dirigenza. Ed è questa la proposta che faremo a Cisl e Uil vicentine».

Giulio Todescan

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