Padova: l'astensione (del centrodestra) e la forza tranquilla di Sergio Giordani

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(Ri)vince a Padova Sergio Giordani. E più di qualcuno potrà dire: si sapeva. Ma qualcosa di meno prevedibile c’è, analizzando il voto. La forza tranquilla del sindaco uscente era evidente. Ha vinto sfruttando le stesse doti di cinque anni fa: dialogo, un sorriso per tutti, quell’impressione che ti lascia, quando gli parli, che ti stia ascoltando veramente. E in un clima generale di disaffezione verso la politica, di questi tempi, è già un grande punto di partenza.

Proviamo a mettere in fila alcuni pensieri sparsi su una tornata elettorale mai oggettivamente così poco partecipata e sentita in città.

  • L’astensione. Votanti al minimo storico, 51%. Crollo di quindici punti percentuali rispetto al 2017. Tutto vero, ma verso destra. Giordani ha infatti preso 47.779 voti: al ballottaggio, cinque anni fa, 47.888. Un dato alquanto significativo, quasi identico. L’astensione ha quindi devastato il centrodestra, creando un divario di 25 punti percentuali quasi irreale per una città come Padova. Un elezione netta così, al primo turno, solo nel 2004: ma allora Giustina Destro si ricandidava dopo cinque anni non brillanti, e ne pago le conseguenze.
  • Giordani avrà mani più libere. Il Pd, suo principale sostenitore, ha ottenuto il 21,66% ed è la prima lista. La tattica del centrodestra di battere su (e contro) Massimo Bettin, l’esponente democratico vicinissimo al sindaco, non ha portato frutti, anzi. Bettin può brindare: non ha mai reagito agli attacchi, anche scomposti, e ha portato il suo partito in testa, quasi raddoppiando i voti di cinque anni fa. E poi c’è la lista Giordani, oltre il 17%. Coalizione Civica, invece, perde cinque punti percentuali, fermandosi appena sotto il 6%. Ce lo si poteva aspettare: non solo per alcune defezioni (Rifondazione, ad esempio), ma proprio per la natura di un movimento che cinque anni fa aveva un gran collante – battere Massimo Bitonci – e tante anime diverse: impossibile accontentarle tutte. E se in questi cinque anni gli “arancioni” sono stati più volte spina nel fianco per Giordani, ora sarà il loro peso è minore. Per capirci: senza di loro Giordani avrebbe comunque vinto abbondantemente al primo turno. Mai come prima, ha vinto l’uomo, il nome.
  • Il centrodestra: la candidatura non condivisa di Peghin è stata utilizzata per lotte interne. Non ce ne voglia nessuno, si è sempre smentito: ma se diciamo che qualcuno in Lega non vedeva l’ora di “non aiutare” il candidato di Massimo Bitonci, non pensiamo di svelare chissaché. Oppure ci sbagliamo e si sono solo dimenticati di andare a votare. Anche Fratelli d’Italia – che giustamente canta vittoria, perché valeva il 2% cinque anni fa e ora vale l’8%, si dimentica che a livello nazionale viene data attorno al 20%: qualche voto, anche in questo caso, si è perso.
  • Male gli altri. In sette candidati, neanche l’otto per cento. Ora si sentirà dire: campagna polarizzata, mancava visibilità, e così via. In realtà un risultato del genere dove far pensare: forse ci siamo tutti un po’ convinti che all’epoca della Rete e degli influencer non contino più i partiti e ci si possa in fondo un po’ improvvisare candidati (con rispetto parlando). Non è così.
  • Abbiamo un probabile candidato sindaco fra cinque anni: le 2.811 preferenze – record storico – di Andrea Micalizzi sono un segnale indicativo. Cinque anni sono lunghissimi, si sa. E lui è sempre stato visto come un ottimo lavoratore, legatissimo al suo elettorato, ma magari «non ancora pronto per». Dopo un voto del genere, difficile non pensare a lui come probabile candidato prosecutore dell’opera di Giordani.

(foto dal profilo Facebook di Sergio Giordani)

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