Taglio agli stipendi statali, Gubitta rilancia: «Chi può paghi»

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La sua proposta – e non poteva che essere così – ha fatto molto discutere. Ma Paolo Gubitta, presidente del corso di laurea in Economia all’Università di Padova, era preparato alla polemica. E non arretra: il taglio del 10% degli stipendi statali per finanziare la cassa integrazione, diventato anche petizione su Change.Org, «s’ha da fare». O meglio, si può fare: Gubitta rilancia ricordando che, in questo momento, se ci si mette a discutere del “livello di stipendio” da considerare come soglia o delle categorie che vanno incluse e quelle che vanno escluse, si perde solo tempo e si rischia di arrivare a una soluzione quando «i buoi sono già scappati»: ecco perchè nella proposta del docente si parla di “reddito adeguato alle esigenze ordinarie” e non si riportano categorie particolari (scuola, sanità, ordine pubblico, trasporti e così via).

Una proposta che sta facendo discutere: ce la spiega nel dettaglio?

«La mia proposta è un prelievo volontario, temporaneo, alla fonte, dallo stipendio delle persone garantite e tutelate dallo Stato, cioè dai dipendenti pubblici che hanno un livello di reddito sufficiente a garantire la vita ordinaria. Non obbligatorio e non per tutti, da destinare al finanziamento della cassa integrazion in deroga dei milioni di italiani e di italiane che si troveranno senza lavoro o con riduzioni importanti dello stipendio. Che cosa c’è di nuovo in questa proposta? Fino ad oggi queste operazioni sono sempre e solo state fatte dal mondo privato: i contratti di solidarietà erano una forma interna all’impresa – le persone si auto-riducevano lo stipendio per evitare che la gente venisse licenziata – oppure fatte dalle imprese private dove imprenditori e imprenditrici “illuminati” dicono alle figure apicali “riduciamoci gli stipendi”. In tutto questo, dei dipendenti statali nessuno si è mai occupato.  

Io chiedo di donare alle persone della mia categoria, che hanno un posto fisso e il reddito assicurato, e che in questo periodo stanno risparmiando. C’è chi dice che in questo periodo c’è bisogno di sostenere la domanda, non di deprimerla: la mia proposta non deprime i consumi, li aumenta, perché i soldi che in questo periodo risparmio, al posto di andare sul mio conto corrente vanno alle famiglie che ne hanno bisogno, che li spendono. Invece di farci mettere le mani in tasca dallo stato che dice “ti taglio lo stipendio, non ti do gli scatti…” prendiamo noi l’iniziativa».

Pensa all’esclusione di categorie statali quali forze dell’ordine o personale sanitario, come ipotizzato da molte tra le persone che hanno commentato in prima battuta la sua proposta?

«La mia proposta non ha priorità. Fare l’ordine di priorità di chi deve dare e chi non deve dare è, dal mio punto di vista, concettualmente sbagliato e novecentesco. La mia proposta esce da queste logiche controproducenti e dice: “Hai un reddito sufficiente per vivere? Allora ti chiedo di farlo. Sei un sanitario che prende 10 mila euro al mese? ti chiedo di farlo. Sei un sanitario, un ricercatore o un assegnista che prende 1200 euro al mese? Ci mancherebbe, non sei tenuto a farlo, perché già così hai uno stipendio di sopravvivenza».

L’iniziativa è stata lanciata da poco più di ventiquattr’ore, a che punto siete?

«La petizione, lanciata ieri con due articoli, ha raccolto finora oltre 130 sostenitori. Sta girando molto bene sui social, il post di lancio ha avuto decine di migliaia di visualizzazioni, centinaia di like, commenti e condivisioni. Tra i firmatari molti colleghi professori universitari. Uno dei rischi che corro è che la gente pensi che lo sto facendo solo per farmi bello, per farmi pubblicità personale, quando so che non arriverò al dunque, e intanto avrò fatto il figurone. È un rischio di cui sono consapevole: il mondo è pieno di persone che vedono il marcio in ogni iniziativa». 

Pensa anche ad un tetto minimo di stipendio per chiedere la contribuzione? Non c’è il rischio che si faccia l’equazione statali = privilegiati e benestanti? Dove si può individuare la “soglia del benessere”?

«Quando si ipotizza un tetto minimo, si crea immediatamente l’eccezione. Mettiamo il limite a 2.000 euro? Se devo mantenere due figli, se ho i genitori a carico come faccio? Il limite è molto evanescente: per questo l’adesione dev’essere volontaria. Noi siamo in un momento di emergenza: se ci mettiamo a centellinare e a dire chi fa cosa, perdiamo tempo a decidere e nel frattempo i buoi saranno già scappati. Le persone cominceranno a disperarai, ci saranno milioni di disoccupati, la gente sarà sempre più inferocita, se la prenderà con i più deboli fra i deboli, i diritti civili verranno dimenticati. Io vorrei che una parte del mio stipendio andasse a una persona che tra due mesi, due settimane si trova senza stipendio. E non mi deve ringraziare, è un patto sociale di una società che ha bisogno di coesione. Non è una questione di generosità, è una questione di giustizia».

Fra le critiche più ricorrenti ci sono le voci di chi dice: tagliate le pensioni d’oro, tagliate gli stipendi parlamentari…

«Sono il deja vu, sono equivalenti alla patrimoniale: si possono fare, ma non in una situazione questa. Prendiamo nota di cosa si può tagliare, ma intanto risolviamo il problema. Se tu fai il chirurgo, e hai sotto i ferri un delinquente, e lo stai operando – decidi di non operare a causa di ciò che fatto? No, intanto lo salvi, perché è il tuo mestiere, e poi lasci a chi di dovere il compito di giudicarlo. La stessa cosa in questa situazione. I politici, le pensioni d’oro: prendete nota, non appena usciremo dall’emergenza chi di di dovere andrà a chiedere il conto a queste persone, perché nel momento del bisogno non hanno fatto la loro parte». 

Giacomo Porra

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