Banche popolari, solo le 2 venete in rosso

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Le due venete sono le sole banche popolari italiane di dimensioni importanti ad avere i conti in “rosso” dopo la semestrale di metà 2015. A sottolinearlo il professor Ugo Rigoni, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove dirige il laboratorio Corporate Finance and Financial insitutions. Secondo cui la soluzione non è la fusione fra Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

Professor Rigoni, che lettura dare in prospettiva alle perdite da un miliardo della Popolare di Vicenza e da 213 milioni di Veneto Banca?

Non va sottovalutato un dato: nel primo semestre 2015 tutte le popolari di dimensione paragonabile alle due venete hanno un utile più o meno elevato, e tutte sono quotate in Borsa. Solo Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno numeri in rosso. Vuol dire che le quotate hanno fatto negli anni scorsi, gradualmente, interventi manageriali e contabili, pulizie di bilancio e ristrutturazioni. Bene o male, hanno risolto le loro criticità sotto la spinta del mercato e ora tornano alla redditività. Per le due popolari venete invece tutti i nodi vengono al pettine ora.

Il prof. Ugo Rigoni

Il prof. Ugo Rigoni

Quali conseguenze hanno questi numeri sullo sbarco in Borsa che entrambe hanno messo in agenda?

Tipicamente le società si quotano quando hanno buone prospettive di sviluppo e sono valutate positivamente dal mercato, per poter strappare prezzi di quotazione più vantaggiosi. Questo accade quando si può scegliere il momento in cui quotarsi. Quando invece si è obbligati dagli eventi, le cose sono più complicate. È come dover salpare con una nave anche se il mare è in tempesta.

La fusione fra i due istituti è la soluzione giusta?

Lo dicevo mesi fa e non ho cambiato opinione: la fusione non mi sembra il modo migliore per aprire importanti prospettive di sviluppo, che è quello che conta davvero, oltre al consolidamento immediato. Inoltre tra Veneto Banca e Popolare di Vicenza ci sono alcune ovvie sovrapposizioni di filiali nel nord est, e ciò avrebbe ripercussioni sia per i dipendenti, in termini di esuberi, sia in termini di credito.

Veneto Banca sta guardando con interesse alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Ma cosa comporterebbe invece una scelta che portasse a proseguire come società autonome?

In via teorica è possibile ma il problema di fondo è la carenza patrimoniale. Entrambe hanno un patrimonio chiaramente insufficiente rispetto ai parametri richiesti dalla Bce, per questo gli aumenti di capitale annunciati sono indispensabili, ma il problema della solidità patrimoniale rimane ineludibile e pressante. L’aggregazione non è obbligatoria, è un’opzione possibile, ma ciò che è indispensabile e la capacità di raccogliere capitale fresco: si può trovare anche presso investitori privati, anche banche e non per forza sotto forma di inglobamento, anche di partecipazione in cambio di vincoli come la condivisione delle scelte strategiche.

Dopo il taglio del valore delle azioni molti soci hanno perso fiducia, questo renderà difficili gli aumenti di capitale?

Lo choc negativo che hanno subito i soci, che hanno visto ciò che ritenevano stabile perdere valore, non si recupera in breve tempo. È stato eroso un capitale di fiducia che potrà avere ripercussioni sulla disponibilità di molti soci a partecipare all’aumento di capitale. D’altronde un taglio così netto era in parte prevedibile, nel senso che era strano che il valore non diminuisse prima, quando si svalutavano le azioni di banche popolari con dimensioni simili, ma quotate. Il crollo del valore è stato un allineamento a qualcosa che era accaduto prima alle banche quotate, che stando sul mercato subivano aggiustamenti graduali determinati dalle valutazioni del mercato.

Anche il mondo delle Banche di Credito Cooperativo vive un momento di passaggio, tra crisi e fusioni, l’ultima quella fra Banca Atestina e Banca Prealpi, a cui la Banca d’Italia ha dato il via libera nei giorni scorsi.

La crisi è sotto gli occhi di tutti: molte Bcc venete, e non solo, hanno avuto seri problemi di bilancio, perdita anche pesanti, in alcuni casi accompagnate a commissariamenti come la Padovana e la Bcc del Veneziano. La loro organizzazione federale non facilita il reperimento di risorse finanziarie al di fuori della base dei soci, per cui alle difficoltà si risponde con le fusioni. Ma è probabile che sia in arrivo anche per queste banche un intervento di riforma dell’assetto generale, in modo simile a quanto avvenuto per le popolari, per una nuova struttura organizzativa che faciliti il reperimento di risorse finanziarie. È possibile che il governo metta in agenda in tempi brevi interventi che vanno in questa direzione.

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