Studio CBA, webinar sulla crisi post-Covid: «Il Veneto curi la sua fragilità finanziaria»

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Lo studio CBA ha organizzato un primo Digital Talk con la partecipazione del professor Luciano Greco, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Padova, di Angelo Bonissoni, managing partner dello studio CBA e dell’avvocato Ilaria Belluco, associata dello studio nella sede di Padova. Il webinar ha tratto spunto da alcune previsioni recenti: per il 2020 la caduta del Pil italiano si assesterà intorno al al -10,4% mentre le recenti misure per contrastare la crisi economica espanderenanno il deficit di circa 100 miliardi (portandolo al 13% del Pil).

In questo quadro è intervenuta l’Unione Europea che, dopo la timidezza unita ad un atteggiamento attendista dei primi mesi, ha sorpreso molti osservatori con il recente accordo. Nel corso del Digital talk CBA, Luciano Greco ha commentato: «Non era pensabile una soluzione ad una crisi così estesa senza un intervento di finanza pubblica. La politica monetaria non è sufficiente e se le risorse non sono sufficienti, la finanza pubblica deve svolgere un ruolo centrale».

Next Generation EU, un nuovo corso per l’Europa?

Dopo una carrellata sui vari strumenti (BEI, MES) e delle loro caratteristiche il dibattito si è incentrato sull’analisi della proposta della Commissione Europea: Next generation EU, un nuovo strumento per la ripresa da 750 miliardi che rafforzerà temporaneamente il bilancio dell’UE ma potrebbe, se il piano avrà successo, avviare un nuovo corso europeo.

«L’accordo del 21 luglio, dopo un’accesa negoziazione, ha essenzialmente accolto le proposte della Commissione Europea e includerà un’iniezione straordinaria di 750 miliardi nel bilancio dell’UE derivanti da indebitamento. Si tratta di una novità che abbatte il tabù dell’impossibilità per l’UE di indebitarsi» ha detto Greco che ha poi aggiunto: «L’UE ha introdotto uno strumento straordinario utilizzando le proprie istituzioni ordinarie. È una grande novità rispetto alle soluzioni del recente passato».

«Il Recovery Fund o, più correttamente, un recovery and resilience fund è necessario non solo per sostenere l’economia e curare la società europea, ma anche a ridare vitalità e capacità di investimento alle imprese – ha proseguito Greco –. Le risorse messe a disposizione dei paesi verranno erogate sulla base di piani con priorità specifiche per la crescita dell’economia e il benessere delle persone. L’elaborazione del Piano per la ripresa e la resilienza (2021-2023) sarò la vera sfida da affrontare per l’Italia, insieme ovviamente alla capacità di spendere effettivamente i fondi entro il 2025 e conseguire gli obiettivi del Piano stesso. È una sfida che il nostro paese deve impegnarsi a vincere, perché sulla base del successo del Piano saremo valutati non solo dalle istituzioni e dai partner europei ma anche da chi compra il debito pubblico italiano o investe in Italia».

Greco ha poi fatto un esempio concreto, un paragone che, con le necessarie distizioni, fornisce una dimensione del Recovery Fund: «La quota destinata all’Italia vale il 2,6% del nostro Pil. Il piano Marshall valeva l’8%. Non è semplice fare un confronto, perché nel frattempo l’economia italiana è cresciuta e si è evoluta, ma le percentuali ci danno un parametro, seppure esemplificativo, di lettura del fenomeno».

Bonissoni: «Resta debole la logica degli investimenti»

Angelo Bonissoni, managing partner dello studio CBA, ha commentato: «L’Italia, alla vigilia della pandemia, si presentava già con due difetti quasi sistemici insiti nella nostra economia: indebitamento elevato e produttività ridotta se confrontata agli altri paesi europei. Il nostro tessuto imprenditoriale, piuttosto fragile, è costituito da Pmi sotto capitalizzate e con un debito elevato. Il governo, con i provvedimenti di questi mesi, ha fornito un po’ di ossigeno alle imprese ma è intervenuto principalmente con strumenti di debito e non di equity. Resta debole la logica degli investimenti. Immagino che nel prossimo futuro gli imprenditori saranno maggiormente preoccupati di reperire le risorse per ripagare il debito piuttosto che per investire nella produttività».

Per Bonissoni «è necessario un cambiamento di approccio e di visione, quindi occorre innanzitutto intervenire sull’equity delle imprese rafforzandolo e fare in modo che la leva finanziaria abbia tempi di rientro più estesi. Inoltre è imprescindibile che le aziende pensino a investimenti e alla di ricerca e sviluppo. È necessario che il recovery fund sia impiegato per far crescere il PIL perché si possa dire che avrà avuto successo. Oppure, finito il suo effetto, si rischia la partenza di una nuova fase recessiva. Esiste anche il rischio di fenomeni esogeni (legati ad esempio alla politica): bisogna prevedere e lavorare sul medio termine, evitare il downgrade del debito pubblico che sarebbe deleterio per le imprese e per il sistema bancario».

Nel dibattito è intervenuta Ilaria Belluco, associata dello studio CBA nella sede di Padova, chiedendosi quale debba essere il ruolo delle imprese in particolare nel Veneto e nel Nord-Est, imprese che, sul territorio, hanno peculiarità proprie e sono rappresentative dell’economia italiana. La posizione di Ilaria Belluco è stata molto chiara: «Gli imprenditori hanno un ruolo fondamentale, le associazioni di categoria che li rappresentano devono pensare a progetti, tirare fuori la mano e accedere ai fondi necessari. Servono progetti capaci di creare valore che per questo saranno finanziati. A dicembre 2019 si contavano 170 mila imprese italiane in difficoltà; a causa della pandemia questo dato è destinato a crescere. Ci sono imprese che vanno ripensate perché obsolete e i capitali vanno meglio indirizzati».

La fragilità del sistema finanziario veneto

Per Belluco «il sistema finanziario fa da stanza di compensazione e il Veneto ha in questo una fragilità che va sanata: l’assenza di banche locali, la debolezza nella gestione dei fondi sul territorio, la mancanza di piattaforme comuni. Si presenta una grande opportunità per il tessuto imprenditoriale veneto che deve dotarsi di strutture e iniziative locali. Diversamente saranno i fondi internazionali ad intervenire seguendo le leggi del mercato. L’intera regione del Nord Est ha in sé, invece, tutti gli elementi per raccogliere la sfida e gestirla».

Il professor Greco ha concluso: «La sottocapitalizzazione, lo squilibrio patrimoniale sono fenomeni nazionali. Il Veneto è emblematico del tessuto imprenditoriale che funziona ma ne ha anche i vizi: la scarsa capitalizzazione espone, ad esempio, ad una maggiore permeabilità rispetto alla criminalità. Le imprese hanno il compito di reclamare forme di intervento che vadano nella direzione di riacquistare capacità di investimento, quindi di perseguire sviluppo e innovazione, attraverso maggiori investimenti sia pubblici che privati».

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