Lavoro: nel 2023 in Veneto rischio duemila disoccupati in più. Ecco le province più colpite

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Per l’anno venturo, anche in Veneto le previsioni economiche non sono particolarmente rosee. Rispetto al 2022, la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi, ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 2.400 mila unità. Sia chiaro: un dato negativo, ma non drammatico, soprattutto se comparato con quanto succederà in molte regioni del Centro-Sud, dove l’incremento sarà veramente preoccupante. Nella nostra regione il numero assoluto dei senza lavoro salirà a quota 107.400 , mentre il tasso di disoccupazione rimarrà lo stesso dell’anno in corso: ovvero il 4,7 per cento, contro una media nazionale dell’8,4 per cento. Un dato, il nostro, in linea con le migliori performance registrate dalle regioni più avanzate in UE.  A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati Istat e le previsioni Prometeia.

  • Belluno, Treviso e Padova le più colpite

A livello territoriale le province venete più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Treviso (+827 unità, pari al +4,2 per cento rispetto al 2022), Padova (+624 persone pari al +3 per cento) e Vicenza (+595 unità pari al +3,5 per cento). Belluno, sebbene dovrebbe contare “solo” 190 disoccupati in più, l’incremento percentuale sarà però del 5 per cento. Rovigo e Venezia, infine, non subiranno variazioni significative.

  • I settori più a rischio

Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori veneti, i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative nel Veneto.

  • Preoccupa la tenuta del lavoro autonomo

Anche in Veneto i lavoratori autonomi rischiano di subire le “perdite” maggiori. La crisi pandemica e quella energetica, infatti, ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili. Ricordiamo, infatti, che hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non hanno né cassaintegrazione né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di NASPI. Inoltre, come ricorda sempre l’Istat, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

  • A repentaglio la coesione sociale

La chiusura di tantissime piccole attività economiche è riscontrabile anche a occhio nudo; basta girare a piedi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24 ore su 24. Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale anche del Veneto è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle nostre città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà. Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. La moria di attività sta colpendo anche coloro che storicamente sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato; ovvero i centri commerciali. Anche la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è in difficoltà e non sono poche le aree commerciali al chiuso che presentano intere sezioni dell’immobile precluse al pubblico, perché le attività presenti precedentemente hanno abbassato definitivamente le saracinesche.

Va segnalato che dal 2021 gli autonomi dispongono dell’ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa), costituita solo per il triennio 2021-2023, in forma sperimentale, e si rivolge esclusivamente ai professionisti e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS che esercitano attività diverse dall’esercizio di imprese commerciali, con redditi molto bassi e momentanei cali di fatturato. Pertanto, non riguarda né artigiani né commercianti. Si tratta di una indennità semestrale, richiedibile una sola volta nel triennio, pari al 25% dell’ultimo reddito dichiarato. La misura di sostegno prevede l’erogazione di una indennità mensile trai i 250 euro e gli 800 euro, a seconda dei requisiti posseduti dal richiedente.

 

Ti potrebbe interessare