"Polvere di stelle", operazione anti-caporalato agricolo tra Vicenza, Verona e Padova

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Caporalato agricolo tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Si è conclusa questa mattina l’operazione “Polvere di stelle” condotta dai Carabinieri del gruppo tutela lavoro di Venezia e dal Carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Vicenza, con l’esecuzione della misura di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di un cittadino di nazionalità marocchina di 27 anni, rientrato in Italia all’aeroporto di Orio al Serio di Bergamo.

Sono complessivamente cinque le misure custodiali eseguite, dal novembre 2020, dai Carabinieri del gruppo tutela del lavoro di Venezia nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili dei reati di cui agli artt. 416 e 603 bis C.P. (associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro) commessi nei confronti di decine di cittadini marocchini, alcuni dei quali irregolari sul territorio nazionale.

Il provvedimento, emesso dal Gip del tribunale di Verona, su richiesta della locale procura, trae origine da un’attività investigativa avviata e condotta, dal maggio 2019, dai militari del nucleo carabinieri ispettorato del lavoro di Vicenza con la collaborazione dei colleghi del Nil di Verona, a seguito delle risultanze ispettive derivate da una serie di controlli effettuati ad aziende agricole delle province di Vicenza, Verona e Padova.

Sfruttamento in una cooperativa agricola di Cologna Veneta

Le indagini, coordinate dalla sostituo procuratore del tribunale scaligero Anna Maria Zanotti, hanno da subito consentito ai militari di individuare una cooperativa operante nel settore agricolo, con sede legale a Cologna Veneta (Verona), che reclutava cittadini marocchini da impiegare come manodopera presso aziende del territorio, in regime di sfruttamento.

Gli accertamenti condotti dai Carabinieri del gruppo tutela lavoro di Venezia hanno fatto emergere le condotte, considerate delinquenziali dagli inquirenti, dei cinque indagati: il titolare dell’azienda fornitrice di manodopera e i due figli, cittadini marocchini che si occupavano del reclutamento dei lavoratori, uno stretto collaboratore di cittadinanza albanese, con le funzioni di intermediario di manodopera, e una donna italiana, collaboratrice di uno studio commercialista, che svolgeva le funzioni di consulente del lavoro operando per consentire alla cooperativa di evadere gli oneri contributivi da versare in favore dei dipendenti.

Senza riscaldamento né elettricità

Gli indagati, si legge in una nota diramata dai Carabinieri di Venezia, avevano di fatto costituito un’associazione per delinquere che permetteva loro di approfittare dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità dei lavoratori, versando loro una retribuzione palesemente inferiore a quella contemplata dai contratti collettivi regionali e nazionali, spesso limitandosi alla corresponsione di un compenso orario equivalente a meno della metà di quello previsto dalla norma.

In alcuni casi, inoltre, è stato accertato come, per evitare i controlli di polizia, i lavoratori sfruttati venissero alloggiati con sistemazioni di fortuna prive di riscaldamento ed energia elettrica per poi essere svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati con autovetture, a volte fatiscenti, nelle aziende agricole in cui prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera e senza il rispetto di alcuna norma di sicurezza sui posti di lavoro, venendo privati anche di dispositivi di protezione individuale.

Un modus operandi che, secondo gli inquirenti, consentiva alla cooperativa sociale di proporsi sul mercato agricolo ad un prezzo decisamente vantaggioso per le ditte committenti, che beneficiavano del reclutamento e l’impiego di manodopera irregolare, soprattutto in quelle attività particolarmente usuranti e faticose come la raccolta di prodotti agricoli e l’allevamento di bestiame che, per la peculiare natura dell’attività, meglio si prestano al fenomeno dello sfruttamento.

Falsa documentazione per evitare di versare i contributi

Il minor prezzo offerto sul mercato veniva assicurato anche grazie ad un preciso ed ormai collaudato “sistema” illecito di abbattimento del costo della manodopera ottenuto grazie alla complicità di una collaboratrice di uno studio di consulenza di Vicenza, che mediante la predisposizione di una falsa documentazione, consentiva alla cooperativa oggetto delle indagini di evitare di pagare i contributi previdenziali. Una strategia che, nella ricostruzione dei militari, consentiva di far apparire formalmente regolare la cooperativa che, mutando nel tempo la propria ragione sociale, continuava ad operare indisturbata sul mercato del lavoro rigenerandosi come nuova società che, di fatto, corrispondeva regolari contributi previdenziali solo per una minima parte dei lavoratori alle proprie dipendenze.

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