Una storia di prove e tentativi: la nuova veste del museo «Giovanni Poleni», la casa della fisica a Padova

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Cos’è la fisica? Come lavorano i fisici a Padova dal Settecento in poi? E oggigiorno? Per rispondere a queste domande il Museo “Giovanni Poleni” dell’Università di Padova propone un vero e proprio “viaggio nel tempo”, dal Gabinetto di Fisica avviato a Padova da Giovanni Poleni nel 1739, fino alle ricerche del XX secolo e oltre. Il ripensamento del Museo, e la sua nuova veste, saranno inaugurati mercoledì primo settembre.

Attraverso strumenti scientifici storici e le loro illustrazioni (tratte da libri di fisica dei vari periodi, da quadri, manoscritti o fotografie) il Museo “Giovanni Poleni” mette in luce il modo di lavorare degli studiosi, tra insegnamento e ricerca, in collegamento con gli sviluppi della disciplina a livello globale. Si propone un continuo dialogo tra gli strumenti originali esposti e le loro riproduzioni in quadri e incisioni delle varie epoche.

Nessun video in museo, ma una presentazione raffinata, coinvolgente ed emozionante, volta a mettere in risalto non solo le mille storie collegate ai vai oggetti, ma anche la bellezza di molti oggetti, che vengono esposti quasi come opere d’arte. L’idea è di portare il visitatore nel cuore del Gabinetto di Fisica di Padova, dal ‘700 in poi, fino a presentare il lavoro dei fisici di oggi in una piccola sezione temporanea dove via via saranno esposti strumenti del XXI secolo.

Giovanni Poleni e il suo tempo

Se esperimenti e dimostrazioni di filosofia naturale si erano già diffusi nella seconda parte del Seicento, restavano perlopiù confinati nell’ambito delle accademie che si erano via via create in tutta Europa. Sotto l’influenza di Newton, vennero invece proposte in Inghilterra le cosiddette “lecture-demonstrations”, ossia lezioni pubbliche illustrate da numerosissimi esperimenti che miravano a diffondere la filosofia newtoniana. Basate sul modello delle dimostrazioni che venivano proposte in quegli anni presso la Royal Society, queste lezioni, per le quali furono sviluppati nuovi specifici apparati, si diffusero dapprima in Olanda poi nel resto d’Europa, riscuotendo ovunque grandissimo successo. Vennero allora create nelle varie università europee cattedre dette di “Filosofia Sperimentale” – o “Fisica Sperimentale” -, e si moltiplicarono i Gabinetti di Fisica, raccolte complete e omogenee di strumenti scientifici.

È in questo contesto che venne creata a Padova, nel 1738, la cattedra di filosofia sperimentale, affidata già all’inizio del 1739 a Giovanni Poleni (Venezia 23 agosto 1683 – Padova 15 novembre 1761). Stimato da personaggi come Eulero, Newton, Leibnitz e Cassini, Poleni era membro delle principali accademie europee. Era in contatto con studiosi di tutta Europa. I suoi contributi scientifici sono innumerevoli e all’Università di Padova gli vengono nel tempo affidate ben cinque cattedre, nelle discipline dell’astronomia, della filosofia naturale, della matematica, della fisica e della nautica. Lavorò molto anche per la salvaguardia del territorio della Repubblica di Venezia. Poleni non era però solo scienziato, ma anche esperto di filologia, antichità e architettura, nonché fine cultore di arte e musica.

Giovanni Poleni svolse un ruolo cruciale per i suoi importanti contributi in svariati settori e soprattutto per lo sviluppo e la diffusione di nuove pratiche scientifiche. Tuttavia solo di recente la storia della scienza ha iniziato a interessarsi a questioni di questo tipo, evidenziando la loro rilevanza per lo sviluppo della scienza stessa. Probabilmente è questa una delle ragioni per cui di Poleni per lungo tempo si è persa memoria

Con il nuovo museo, si vuole mettere in luce questa figura del Settecento importante non solo per Padova ma per la cultura europea e, in modo più specifico, per la diffusione della fisica sperimentale in Europa.

L’insieme della strumentazione raccolta da Poleni illustra e narra in modo esemplare i cambiamenti radicali che caratterizzarono la didattica in quel periodo, in cui si trattava di avere esperimenti e strumenti per dare dimostrazioni dirette e immediate delle leggi della fisica. Era peraltro necessario un delicato equilibrio tra la serietà del corso e la spettacolarità che contraddistingueva gli esperimenti di fisica di quegli anni in modo da unire “l’utile al dilettevole”, come teneva a precisare nel 1738 Jean Antoine Nollet, lo scienziato della corte del re di Francia, professore di fisica sperimentale al Collège de Navarre (“Programme ou idée générale d’un cours de physique expérimentale”).

Seppur essenzialmente destinata alla didattica, la collezione di Poleni comprendeva anche alcuni strumenti impiegati dallo studioso veneziano per le proprie ricerche. Paradigmatica in questo senso è la macchina divulsoria, che Poleni utilizzò per studiare la resistenza dei materiali nell’ambito del restauro della cupola di San Pietro a Roma.

Un museo ricco (in molti “sensi”)

Il Museo “Giovanni Poleni” fa emergere i collegamenti tra la fisica e discipline come l’arte, l’architettura, la musica e la psicologia.

Strumenti di ottica e acustica di fine Ottocento sono per esempio direttamente legati alla nascita della psicologia sperimentale, mentre la macchina divulsoria ben illustra i legami del museo con l’arte e l’architettura. Questa macchina venne infatti usata da Giovanni Poleni nell’ambito del restauro della cupola di San Pietro a Roma, che gli fu commissionato nel 1743 dal Papa Benedetto XIV. Basandosi sia sulla sua profonda conoscenza dell’architettura antica, sia sulla schematizzazione della realtà e la sperimentazione, Poleni condusse studi accurati, decidendo tra l’altro di fissare alla cupola dei cerchioni di ferro. A eseguire materialmente i lavori a Roma è l’architetto Luigi Vanvitelli, sotto la guida di Poleni. Da notare che il Papa stesso si reca in piazza San Pietro, sotto la pioggia, a benedire il primo cerchione e assistere alla sua posa. Fu proprio con la macchina divulsoria che Poleni determinò la sezione di questi cerchioni. Presentata al pubblico in alcune mostre temporanee, lo strumento viene esposto per la prima volta in modo permanente.

Storie di successi e di insuccessi della scienza e della tecnica mettono inoltre in luce il contesto politico, sociale ed economico, così come il profondo legame della comunità scientifica locale sia con il territorio che con il resto del mondo. Si può così portare il pubblico anche a riflettere e discutere sulla scienza di oggi e sugli attuali rapporti fra scienza e società. Proprio a partire dagli strumenti storici e dalle loro storie, si possono esaminare questioni quali: Come definire il successo nella scienza? La scienza è “buona” o cattiva”? Ha senso distinguere fra scienza applicata e scienza fondamentale? Diventando una sorta di «ponte» tra passato e presente, il Museo può così svolgere un ruolo sociale, stimolando nel pubblico riflessione e senso critico.

Per questo scopo, il Museo ospita un piccolo teatro, per 20-25 persone – anche in ricordo del teatro di Poleni. L’idea è di organizzarvi, a scadenza regolare, delle serate su argomenti vari, con ampi spazi di discussione fra relatori e pubblico. L’intento è di fare del Museo un luogo vivo di confronto, riflessione e discussione. Nascono così le serate “I martedì al Museo Poleni”, con un ricco programma dal 14 settembre 2021, ogni martedì alle 18.30.

Una raccolta fra le più importanti d’Europa

Se esistono raccolte di strumenti scientifici presso diverse scuole della Regione, il Museo “Giovanni Poleni” si configura però come una realtà unica nel Veneto, con una raccolta di eccezionale valore e aperto al pubblico e alle scuole.  Si tratta peraltro di un museo importante anche a livello nazionale e internazionale. In Italia, a parte il Museo Galileo di Firenze, esiste solo qualche museo universitario di storia della fisica, ad esempio a Napoli o Pavia, le cui raccolte non coprono però un simile arco temporale e con una tale varietà e ricchezza di strumenti.

All’inizio del ‘700, nascono in Inghilterra lezioni di tipo totalmente nuovo: basate su esperimenti e dimostrazioni, sono legate al settore dello studio della natura che noi oggi chiamiamo “fisica”. L’Università di Padova è fra le prime in Europa a introdurre queste nuove lezioni nel 1738, assegnandole a Giovanni Poleni. Questi si procura strumenti per insegnare e fare ricerca, dando vita a un Gabinetto di Fisica di fama europea. Le lezioni si tengono a Palazzo Bo, nel nuovo “teatro di filosofia sperimentale” fatto costruire da Poleni e dall’amico Giovanni Battista Morgagni.

I successori di Poleni arricchiscono il Gabinetto di Fisica non solo con dispositivi sempre più attuali, ma anche con strumenti del Cinquecento e Seicento che destinano all’insegnamento. Gli oggetti del Museo hanno quindi “biografie” che si intrecciano sia con la storia dell’ateneo patavino sia con gli sviluppi della scienza dal Rinascimento al XX secolo e oltre. Si scoprono così le grandi tappe che portano nel ‘700 alla nascita dei gabinetti di fisica, dalla matematica pratica del ‘500 -‘600, con preziosi astrolabi e sfere armillari, alla rivoluzione scientifica, fino all’effervescente popolarità della fisica nel ‘700, ai grandi sviluppi della scienza nel XIX secolo e all’avvento della fisica moderna nel XX secolo. Una collezione di migliaia di oggetti, tutti legati alla didattica e alla ricerca a Padova: di questi sono stati scelti accuratamente 499 oggetti che verranno messi in mostra nel nuovo museo.

Gli oggetti sono i protagonisti assoluti del Museo “Giovanni Poleni”: ognuno di loro narra molteplici storie, che il nuovo allestimento vuole portare alla luce, sottolineando in particolare alcune peculiarità della collezione. Da un lato i contatti con studiosi e costruttori italiani e stranieri, evidenziati da svariati strumenti spediti direttamente ai professori di fisica di Padova dall’inventore stesso… veri e propri prototipi in un certo senso. È il caso a esempio dei termometri firmati da Angelo Bellani “per l’amico Salvatore Dal Negro”, professore a Padova nella prima parte del XIX secolo. Strumenti che raccontano non solo i rapporti tra gli scienziati ma anche i rapporti di amicizia che univano alcuni di loro. Ma anche i profondi rapporti col territorio, che segnano la raccolta fino dai tempi di Poleni. Poleni non si limitava infatti a studi teorici ma, come vari studiosi dell’Università di Padova prima di lui, applicava le proprie ricerche alla salvaguardia del territorio della Repubblica di Venezia, dai canali di Padova ai fiumi e alle aree boschive della regione. Non è un caso che Poleni avesse tra i suoi strumenti il modello di battipalo con cui fu ricostruito a metà Settecento il ponte di Bassano, disegnato da Palladio. Come il battipalo, un altro strumento che ben documenta la storia della regione è un modello ottocentesco di macchina a vapore, pensato per la manifattura di tabacchi di Venezia. Ideato e realizzato dal meccanico Stefano Dufour a Milano, ottenne una medaglia ai premi d’industria del Regno Lombardo-Veneto nel 1822 ma non venne mai costruito in scala a Venezia, mettendo in luce un contesto politico, economico e sociale locale poco favorevole all’innovazione tecnologica – una macchina simile fu utilizzata con successo in Francia dal 1825 per alimentare la rete idrica del parco di Versailles. Il modello venne poi regalato nel 1826 dall’Imperatore d’Austria al Gabinetto di Fisica di Padova, diventando così uno strumento di didattica. Non solo, gli oggetti in esposizione narrano le ricerche svolte a Padova. Gli esempi in questo senso sono svariati. Se Salvatore da Dal Negro, per esempio, inventa negli anni 1830 alcuni fra i primissimi motori elettrici, si deve invece ad Augusto Righi nel 1888 l’ideazione di una delle prime cellule fotovoltaiche, mentre la straordinaria raccolta di lastre radiografiche degli anni 1896-1898 ci conduce nel cuore di un laboratorio di fisica di fine ‘800. Molti di questi strumenti vengono esposti per la prima volta e in modo adeguato nel nuovo museo. Allo stesso modo, le ricerche svolte a Padova nel XX secolo sui raggi cosmici da Bruno Rossi innanzitutto, e poi dai suoi successori, sono illustrate e presentate con strumenti originali e numerose fotografie, mostrando gli albori delle ricerche di frontiera condotte oggi dai fisici dell’ateneo patavino.

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