Cgia: «In Italia spesa pubblica annuale vale quattro Recovery Fund»

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Recovery Fund, al netto degli interessi sul debito, l’anno scorso la spesa italiana è stata pari a quasi 890 miliardi di euro: un importo oltre 4 volte superiore a quanto si dovrà spendere nei prossimi 5 anni con i soldi messi a disposizione  dall’Unione europea attraverso il Recovery che, ricordiamo, ammontano a 191,5 miliardi di euro. Lo comunica in una nota l’Ufficio studi della Cgia.

Una spesa, quella pubblica, che per il 90 per cento circa è di parte corrente e viene utilizzata, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali.

Recovery Plan, pro e contro del piano

Il Pnrr è costituito da  235,6 miliardi di euro, di cui 191,5 riconducibili al Recovery Fund, 30,6 a un fondo complementare e gli altri 13,5 miliardi di euro al React -EU. Di questi 235,6 miliardi, 52,6 verranno investiti per «progetti in essere», ovvero già previsti, mentre i restanti 183 andranno a finanziare «nuovi progetti». Pertanto, nel 2026 la crescita del Pil, anno in cui si concluderà l’azione del Piano, dovrebbe essere più alta di 3,6 punti percentuali rispetto allo scenario che si verificherebbe senza l’effetto degli investimenti aggiuntivi. Una previsione, quest’ultima, che viene prefigurata nello scenario ottimale, ovvero che gli investimenti vengano spesi in maniera efficiente, che le condizioni monetarie siano favorevoli e che non vi siano ripercussioni negative sul premio del rischio sovrano.

Se, rispetto a quanto riportato, il quadro generale fosse meno ottimistico, il nostro PNRR ipotizza altri 2 scenari: uno medio con una crescita del Pil del 2,7 per cento e uno basso con un incremento dell’1,8 per cento. Analizzando solo lo scenario ottimale, a fronte di 183 miliardi di investimenti, nel 2026 avremo un aumento strutturale del Pil di poco inferiore ai 70 miliardi, determinando un moltiplicatore del Pil pari a 1,2.

Un risultato non particolarmente esaltante, segnala l’Ufficio studi della Cgia, se si tiene conto che, secondo uno studio della  Banca d’Italia, la realizzazione delle opere pubbliche può avere ripercussioni importanti sulla crescita economica di un paese se il moltiplicatore della spesa pubblica per investimenti è compreso tra l’1 e il 21 .

E’ vero che l’1,2 per cento previsto dal Governo Draghi nel Pnrr ricadrebbe nella forchetta indicata dalla Banca d’Italia, ma è altrettanto vero che raggiungeremo questo obbiettivo solo se tutto andrà per il verso giusto; cosa che molti osservatori dubitano, vista la cronica inefficienza che caratterizza buona parte della Pubblica Amministrazione italiana.

Va ricordato, inoltre, che l’Italia  non desta una elevata affidabilità in materia di previsioni macro economiche. I dati dell’European Fiscal Board (organo consultivo indipendente della Commissione Europea) che riportiamo più sotto sono impietosi: tra il 2013 e il 2019  siamo il Paese che ha «sbagliato» di più. Un’altra ragione per dubitare che saremo in grado di raggiungere la crescita del Pil del 3,6 per cento e, conseguentemente, disporre di un moltiplicatore dell’1,2.

Fronte occupazionale: gli effetti del Pnrr non saranno particolarmente significativi. Grazie ai 235,6 miliardi di investimenti, nel 2024-2026 l’occupazione in Italia è destinata  ad aumentare di 3,2 punti percentuali che in termini assoluti equivalgono a 750 mila addetti. Una cifra sicuramente importante, anche se va tenuto conto che solo nel primo anno della pandemia abbiamo perso 900 mila posti di lavoro, nonostante sia in vigore per legge il blocco dei licenziamenti. Non osiamo pensare cosa succederà prossimamente, quando quasi sicuramente questa misura verrà eliminata.

Il problema delle previsioni sbagliate

Oltre ad avere una spesa pubblica spesso intrisa di sprechi e di sperperi, l’Italia ha un triste primato europeo: è registrata  una difficoltà nell’elaborare delle previsioni di crescita  economica attendibili. Nell’ultimo rapporto annuale dell’European Fiscal Board, pubblicato nell’ottobre 2020 (quarto rapporto annuale), è riportata un’analisi sulle differenze tra la crescita effettiva del Pil e le proiezioni presentate nei programmi di stabilità e convergenza durante il periodo 2013-2019.

Rispetto ai Paesi dell’Area Euro, l’Italia presenta il risultato più critico: le previsioni di crescita sono risultate essere alte in tutti e 7 gli anni presi in esame (2013-2019). Dopo l’Italia, si posizionano 5 paesi che hanno stimato previsioni più elevate in 5 anni su 7. Essi sono: Belgio, Spagna, Francia, Lettonia e Slovacchia.

Il risultato dell’Italia è altresì critico sul fronte dell’errore medio delle previsioni; in questo rank negativo  risultiamo secondi solamente alla Slovenia, con un errore medio annuo di stima pari all’1,3 per cento del Pil nominale; tale discrepanza si traduce in un impatto sul bilancio delle Amministrazioni pubbliche di oltre lo 0,5 per cento del Pil all’anno (in 7 anni circa 60 miliardi di euro sul bilancio della nostra PA).

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