É crisi per l'industria calzaturiera: -11% per l'export nel 2020. Calano imprese e addetti

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Industria calzaturiera: nel 2020 in Veneto export in flessione del -11,1%. Cala il numero di imprese (-36 unità tra calzaturifici e produttori ) e addetti (-399 unità). Le prime 5 destinazioni dell’export veneto per l’anno scorso sono risultate: Francia (-26,2%), Svizzera (+108,2%), Germania (-15,4%), Regno Unito (-26,8%), USA (+2,1%); assieme questi 5 paesi hanno coperto il 59% del totale export regionale.

La pandemia da Covid-19 ha colpito duramente l’industria calzaturiera italiana con una flessione a doppia cifra in tutte le principali variabili. Secondo gli ultimi dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici nel 2020 a livello nazionale sono calati rispetto all’anno precedente sia il fatturato, attestatosi a 10,72 miliardi di euro (-25,2%) che la produzione Made in Italy (scesa a 130,5 milioni di paia, -27,1%). Di rilievo anche il decremento dell’export, sia per quanto riguarda il valore (-14,7%) che le quantità (-17,4%).

Industria calzaturiera, diminuiscono imprese e impiegati

In Veneto nel 2020 il numero di imprese (tra calzaturifici e produttori di parti) ha registrato, secondo i dati di Infocamere-Movimprese, una variazione pari a -36 unità, tra industria e artigianato, accompagnata da un saldo negativo di -399 addetti. Sul fronte dell’export si registra una flessione del -11,1% in valore sul 2019, tra calzature e componentistica. In particolare il quarto trimestre ha evidenziato un -3,6% tendenziale: un risultato ancora lievemente negativo dopo il crollo del secondo trimestre (-33,8%) e il -0,1% fatto segnare nel terzo. Le prime 5 destinazioni dell’export veneto 2020 sono risultate: Francia (-26,2%), Svizzera (+108,2%), Germania (-15,4%), Regno Unito (-26,8%), USA (+2,1%); assieme questi 5 paesi hanno coperto il 59% del totale export regionale.

Il report di Assocalzaturifici analizza nel dettaglio l’export, da cui emerge che tra i primi 10 mercati esteri in valore cresce solo la Corea del Sud (+14,3% nei primi 11 mesi), che cede peraltro il -5,2% in quantità. Contengono le perdite la Svizzera (-7,6%, destinazione dei prodotti realizzati dalle aziende terziste per le griffe internazionali del lusso) e la Cina (-4,4%), protagonista di un forte recupero (+43%) nel bimestre ottobre-novembre. Marcato calo delle vendite sia verso i partner dell’Unione Europea (-13% in valore la UE27) che fuori dai confini comunitari (-18%), dove il Nord America perde il -30% in valore, l’area CSI il -20%, il Medio Oriente il -25%, il Far East il -13%. L’attivo del saldo commerciale è atteso ridursi a 4,2 miliardi di euro (in flessione del -14% sul 2019).

Al crollo dei livelli di attività nella prima parte dell’anno, causato dal lockdown, ha fatto seguito, nei due trimestri successivi, solo un’attenuazione della caduta (rimasta peraltro a doppia cifra), anziché un rimbalzo. La seconda ondata del virus in autunno ha subito interrotto i primi timidi segnali di risalita (a settembre vendite estere e acquisti delle famiglie in Italia avevano eguagliato i volumi dell’analogo mese 2019). Nel trimestre conclusivo dell’anno, in particolare, export e consumi (con le vendite natalizie compromesse dalle misure restrittive) sono risultati ancora largamente insoddisfacenti.

Badon: «2020 ha avuto pesanti conseguenze sul settore»

Lo scenario nazionale è stato commentato dal Presidente di Assocalzaturifici, Siro Badon: «Il 2020 ha avuto pesanti conseguenze economiche per il nostro settore. I dati parlano chiaro. Oltre ad aver lasciato sul terreno circa 1/4 della produzione nazionale e del fatturato complessivo, dobbiamo registrare anche un drastico calo dei consumi delle famiglie italiane, sia nella spesa (-23,1%) che nelle quantità (-17,4%). Una flessione importante, malgrado una crescita a doppia cifra per il canale online che non riesce a tamponare il crollo dello shopping dei turisti e i mancati introiti da essi derivanti, specialmente per le fasce lusso. E se a queste indicazioni aggiungiamo le criticità che emergono dalle cifre relative alla demografia delle imprese – con un calo del -4% sia nel numero delle aziende che degli addetti diretti, oltre ad un’impennata della Cassa Integrazione Guadagni nell’Area Pelle (+900% le ore autorizzate, dieci volte i livelli del 2019) – il quadro che ne viene fuori non è per nulla confortante».

«Il trend è destinato a rimanere altrettanto sfavorevole nel primo trimestre dell’anno corrente, – continua Badon – iniziato con una stagione dei saldi largamente sottotono: gli imprenditori del comparto, secondo le nostre rilevazioni, stimano in media un calo ulteriore del fatturato pari al -15,1% tendenziale. È evidente che la ripartenza sia rinviata alla seconda metà del 2021, auspicando che un soddisfacente ed esaustivo piano di vaccinazione porti progressivamente ad un ritorno alla normalità perduta, sebbene il recupero dei livelli pre-Covid sia ancora lontano».

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