L'effetto Covid sui contratti a termine: persi 11.500 posti di lavoro in Veneto

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Veneto, i dati del mercato del lavoro regionale dello scorso anno registrano una perdita di 11.500 posizioni lavorative dipendenti, con un calo delle assunzioni del 24% rispetto al 2019.

Tra i settori più colpiti turismo, commercio, ristorazione, ricettività, occhialeria e moda. Lo si apprende dall’analisi di Confapi Venezia sui dati dell’Osservatorio di Veneto Lavoro.

Lavoro, la situazione occupazionale in Veneto

In Veneto l’effetto della pandemia nel corso del 2020 ha comportato (per l’insieme degli organici aziendali individuati sulla base dei tre contratti sopra indicati) una riduzione del saldo occupazionale pari a -11.500 posizioni di lavoro dipendente, quando l’anno precedente il saldo era stato positivo per +26.500.

Gran parte degli effetti delle varie fasi di lockdown si sono scaricati sull’occupazione temporanea. Secondo le stime di Veneto lavoro, nei primi undici mesi dell’anno le giornate lavorate con contratti a termine si sono ridotte a 52 milioni e segnano un differenziale rispetto al 2019 superiore ai 12 milioni, pari al -20%.

Le assunzioni effettuate nel corso dell’anno si sono ridotte del -24% (453mila contro le quasi 600mila del 2019). Da segnalare come la forbice con gli andamenti dell’anno precedente sia andata allargandosi negli ultimi mesi: -12% a ottobre, -22% a novembre e -32% a dicembre.

I contratti a tempo indeterminato hanno segnato un saldo positivo di +26.500, il 40% in meno rispetto a quello dell’anno precedente (con una flessione delle assunzioni del -26%). Gli incentivi messi in campo a livello governativo per favorire la stabilizzazione occupazionale hanno favorito la crescita delle stabilizzazioni, evidente soprattutto a dicembre quando si è registrata una impennata delle trasformazioni di rapporti a tempo determinato (+81% tendenziale).

L’apprendistato segna un saldo negativo di -6.000 posizioni, con una flessione del -34% delle assunzioni. I contratti a termine fanno registrare un saldo negativo di -31.800 unità, con una riduzione delle assunzioni del -23%. La flessione occupazionale si è concentrata soprattutto nei servizi turistici (-14.800 posizioni di lavoro), come negative sono anche altre attività dei servizi (commercio al dettaglio, trasporti, attività finanziarie, editoria e cultura). Nel manifatturiero a soffrire è soprattutto il made in Italy, in particolare il sistema moda e l’occhialeria; l’industria delle costruzioni chiude invece con un bilancio positivo del tutto analogo quantitativamente a quello del 2019 (+3.100).

Il flusso delle dichiarazioni di disponibilità (did) nel corso del 2020 è diminuito del -17%, un risultato esito di più cause: il lockdown, con le conseguenti difficoltà di spostamento e le chiusure degli uffici pubblici. L’effetto di scoraggiamento, sempre rilevabile nei periodi di crisi economica, che riduce la propensione alla ricerca attiva del lavoro. Le misure messe in atto al fine di salvaguardare i posti di lavoro, che hanno irrigidito i flussi complessivi di entrata e uscita dal mercato del lavoro. Dalle quasi 142.000 did del 2019 si è passati alle circa 118.000 del 2020.

Lo scenario nazionale

In Italia tutte le stime disponibili convergono nel segnalare per il 2020 una caduta del PIL oscillante tra il -8% (scenario prudenziale del governo) e il -10,6% (scenario di rischio) mentre sul versante occupazionale i segnali emergenti dalle rilevazioni dell’Istat appaiono ancora contraddittori, con crescite e riduzioni occupazionali che si alternano mese per mese.

Nella nota mensile su occupati e disoccupati di novembre si registra una crescita dell’occupazione (+0,3%, pari a +63mila unità) estesa ad entrambe le componenti di genere, ai dipendenti a tempo indeterminato, agli autonomi e a tutte le classi d’età ad eccezione dei 25- 34enni che, insieme ai dipendenti a termine, segnano una riduzione. Contemporaneamente viene registrato un forte calo del numero di persone in cerca di lavoro (-7,0%, pari a -168mila unità) e una crescita degli inattivi (+0,5% pari a +73mila unità).

I dati occupazionali sono fortemente condizionati dal permanere delle misure di salvaguardia dell’occupazione (cassa integrazione e blocco dei licenziamenti) mentre segnali di tendenza inversa vengono dal numero di ore pro capite effettivamente lavorate nella settimana che, nel mese di novembre, per i dipendenti si attestano a 32,5 con una variazione tendenziale di -1,9 (quest’ultima era stata pari a -9 nel mese di aprile, ma a -0,2 nel mese di agosto e -0,6 nel mese di ottobre).

Anche il numero di occupati assenti si inserisce tra gli indicatori in controtendenza rispetto al puro dato occupazionale: sempre con riferimento a novembre 2020 risulta pari all’8%, di 4,8 punti percentuali superiore a quella dello stesso mese del 2019, quando a settembre aveva ridotto i punti percentuali di differenza a solo 0,8.

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