Epilessia e lavoro, la storia di Giulia: così la patente non diventa un limite

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«Inclusione lavorativa»: spesso è un mantra che si ripete, un obiettivo che ci si pone. Con il rischio che rimangano, però, parole. Ospitiamo quindi la testimonianza di Giulia Gazzetta, una ragazza padovana che convive con l’epilessia. Ci racconta la sua esperienza con la patente, perché in fondo l’inclusione lavorativa è proprio questa: quotidiani momenti di lotta tenace per poter lavorare, e vivere, come tutti. L’esperienza di Giulia, una ragazza capace di superare i propri limiti, proprio perché in grado di focalizzarli correttamente, merita di essere approfondita: a questo link potete trovare un’intervista in cui lei si racconta a tutto tondo, senza compromessi.

Ecco la testimonianza di Giulia Gazzetta: 

Per le persone che convivono con l’epilessia la strada che conduce verso la realizzazione lavorativa – o solamente all’inclusione lavorativa –  può essere ardua. Spesso, infatti, siamo costretti a fare il conto con limiti che la malattia ci impone, e che alcune volte ci impediscono di vivere la vita che vorremmo. Il rilascio ed il mantenimento della patente, per noi, può essere uno di questi limiti.

La patente viene rilasciata dalla commissione medica dopo un anno senza crisi ed il rinnovo avviene generalmente ogni due anni. In caso di crisi improvvisa, la patente viene ritirata per un anno, a meno che non si attesti che la ricaduta è avvenuta per una causa scatenante identificabile (es. cambio terapia). È facilmente comprensibile come tutto questo influisca profondamente nella nostra vita e soprattutto nella nostra realizzazione personale, che ovviamente include anche la sfera lavorativa.

Per una persona che convive con l’epilessia, quindi, il lavoro non deve solamente essere in linea con le competenze (tecniche e trasversali), ma deve anche tener conto di come la mancanza o il ritiro della patente possa incidere nella ricerca o nel mantenimento dell’occupazione. Potremmo così essere costretti a cercare un lavoro vicino a casa (deve essere facilmente raggiungibile con i mezzi), o ad evitare alcune mansioni che vorremmo fare e con cui siamo in linea perché presuppongono l’utilizzo di auto o di determinate categorie di veicoli.

Potrebbe anche essere che la nostra situazione sia stabile e sotto controllo, ed allora ok al lavoro lontano da casa, o che prevede l’utilizzo dell’auto, ma siamo consapevoli che potremmo dover attivare il nostro piano B, nel caso in cui una crisi arrivasse all’improvviso e noi ci trovassimo costretti ad uno stravolgimento totale della nostra vita e delle nostre abitudini.

A me è successo, sono rimasta senza patente, il lavoro ce l’avevo già. Non è stato facile, l’ho presa come una sfida: mi sono trasferita più vicino al lavoro e sono andata a vivere da sola. In realtà però le difficoltà restano sempre molte, e non sempre la società attuale ci aiuta a superarle al meglio.

Il lato positivo è che la malattia ci permette di sviluppare le tanto ricercate soft skills: resilienza, problem solving ed un grande senso di responsabilità possiamo sicuramente inserirle nel nostro CV.

Giulia Gazzetta

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