Incendio a Brendola: diossina sotto controllo, solventi nei fiumi

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Il rogo devastante che il primo luglio ha incenerito la ditta Isello Vernici di Brendola fa sentire i suoi strascichi su un’area di chilometri attorno al capannone. Il pericolo diossina è scampato, ma per i pesci (e l’ecosistema) di un torrente che attraversa la zona non c’è stato nulla da fare.

L’Arpav, che a poche ore dall’incendio aveva rilevato concentrazioni molto alte di benzene nell’aria, ha eseguito le analisi su un campione di aria a Montecchio Maggiore, in piazza Collodi. «Pur precisando che per quanto riguarda la presenza di diossine e furani nell’aria non vi sono limiti normativi né valori guida – afferma l’agenzia ambientale della Regione Veneto -, i dati evidenziano che durante l’incendio le concentrazioni sono risultate inferiori al limite di quantificazione».

«La concentrazione totale dei policlorobifenili diossina simili – prosegue la nota – espressa come tossicità equivalente (WHO-TE) è risultata essere pari a 0.0017 picogrammi/mc (metro cubo) corrispondenti a 1.7 femtogrammi/mc. Tale valore risulta in linea con le concentrazioni di fondo in condizioni di normalità rilevate nei capoluoghi Veneti in un lavoro condotto da Arpav. Inoltre tale valore risulta inferiore a quanto previsto in Germania dove il Comitato Federale per il controllo dell’inquinamento atmosferico (LAI, 2004) ha adottato il limite di 150 femtogrammi/mc WHO TE come concentrazione in aria di miscele di PCDD/F e PCB-DL».

Peggiore la situazione delle acque superficiali, come fiumi e fossi, aggravata dal nubifragio che si è abbattuto sulla zona nella notte tra il 2 e il 3 luglio. La bomba d’acqua ha fatto il modo che la corrente superasse le barriere posizionate per fermare le sostanze usate per lo spegnimento dell’incendio finite nei corsi d’acqua in seguito all’incendio. La schiuma bianca formata da solventi si sta spostando verso sud e verso la provincia di Verona attraverso i comuni di Sarego e Lonigo. La protezione civile ha tentato di arginare la situazione e Arpav prosegue le analisi.

L’inquinamento ha origine nel punto di confluenza del rio Signoletto, alimentato dalle acque di spegnimento dell’incendio, con il Fiumicello Brendola. Proprio in questo corso d’acqua si è registrata una moria di pesci. Le analisi di Arpav hanno evidenziano la presenza di solventi, già individuati anche nei prelievi dell’aria eseguiti subito dopo l’evento.

I solventi hanno consumato l’ossigeno nell’acqua, già scarso per le alte temperature dell’acqua. La presenza di tensioattivi (non ionici) ha inoltre determinato ad ogni salto idraulico la formazione di schiuma persistente, provocando quindi un’ulteriore difficoltà allo scambio di ossigeno, e la conseguente morte dei pesci.

«Carpe, cavedani, barbi, carassi, vaironi, dai più grossi agli avannotti, distesi sul letto ghiaioso di quello che fino a pochi giorni fa era un ambiente che pullulava di vita – è il commento desolato di Francesco Nassi, un pescatore della zona che ha pubblicato sui social network le foto dei corsi d’acqua colpiti dalla schiuma inquinante -. Anni di tutela, misure di protezione, immissioni, vigilanza contro il bracconaggio, sono bastate poche ore a ridurre tutto ad un deserto».

Foto: Francesco Nassi via Facebook

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