La denuncia della Cgia di Mestre: «Burocrazia mal gestita costa il doppio dell'evasione»

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La burocrazia mal gestita della Pubblica Amministrazione provoca un danno economico ai contribuenti italiani stimato attorno ai 184 miliardi di euro l’anno. Un importo, quest’ultimo, più del doppio rispetto alla dimensione dell’evasione tributaria presente in Italia. Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, il mancato gettito annuo ammonta a 84,4 miliardi di euro.

Questa la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia che, spiega lo stesso Ufficio studi, è una chiara provocazione per mettere in evidenza che l’aggravio economico delle “distorsioni” provocate dalla PA agli italiani ha una dimensione nettamente superiore all’evasione fiscale italiana. “Se la qualità dei servizi offerti dal pubblico va assolutamente migliorata, è ancor più necessario contrastare l’evasione ovunque essa si annidi” scrive la Cgia di Mestre, “l’infedeltà fiscale, infatti, è una piaga sociale/economica inaccettabile che penalizza i più deboli, perché riduce la qualità e la quantità dei servizi offerti dal sistema pubblico. Non è plausibile la tesi che non pagare le tasse sarebbe “giustificato” perché lo Stato funziona male. Se tutti pagassero quanto richiesto, la Pubblica Amministrazione avrebbe più risorse a disposizione, probabilmente funzionerebbe meglio e si creerebbero le condizioni anche per tagliare in misura strutturale la pressione fiscale”.

Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la burocrazia è pari a 57,2 miliardi di euro, i debiti commerciali della Pubblica Amministrazione nei confronti dei propri fornitori ammontano a 49,6 miliardi di euro, la lentezza della giustizia costa al sistema Paese 2 punti di Pil all’anno che equivalgono a 40 miliardi di euro, le inefficienze e gli sprechi presenti nella sanità sono quantificabili in 24,7 miliardi di euro ogni anno,  gli sprechi e le inefficienze presenti nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi di euro all’anno.

Secondo il Cgia le stime del Ministero dell’Economia e della Finanza sull’evasione, che ammontano a 84,4 miliardi di euro il tax gap, sono inattendibili perchè la tipologia di imposta più evasa sarebbe l’Irpef in capo al lavoro autonomo, per un importo pari a 31,2 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora stabilmente il 70 per cento. Questo vorrebbe dire che poco meno del 70 per cento dell’Irpef non sarebbe versata all’erario dai lavoratori autonomi, che dovrebbero annualmente versare il 130 per cento in più, ovvero quasi 76 mila euro all’anno. “Nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente debellate. Tuttavia, altra cosa è sostenere che in media gli artigiani e i commercianti evadono il 70 per cento del loro reddito. Sebbene calcolato in modo molto raffinato, quando lo “mettiamo a terra”, questo assunto porta a conclusioni non “attendibili” spiega il Cgia.

Inoltre se, mediamente, al Nord si dichiarano 33 mila euro all’anno, al Sud sono 22 mila. Questo vuol dire che al Nord si dichiara il 33 per cento in più. Questa forchetta tende addirittura ad aumentare quando si analizzano le dichiarazioni dei redditi delle imprese individuali in contabilità ordinaria. Analizzando i dati delle singole regioni, per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi in contabilità semplificata, in Lombardia gli autonomi dichiarano 35.462 euro, in provincia di Trento 34.436 euro, in Veneto di 33.318 e in Friuli Venezia Giulia di 33.205 euro. Per contro, in Sicilia ci si attesta sui 23.946 euro, in Puglia sui 23.223 euro, in Campania sui 22.662 euro, in Basilicata sui 21.012 euro, in Molise sui 19.610 euro e in Calabria sui 19.551 euro. La media nazionale è pari a 29.425 euro.

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