Veneto, la mappa di Greenpeace sugli allevamenti intensivi e sull'ammoniaca emessa

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Il Veneto è la terza regione in Italia per numero di allevamenti intensivi che emettono grandi quantità di ammoniaca, (NH3), un inquinante dannoso per l’ambiente e per la salute umana, perché concorre in maniera importante a formare lo smog che respiriamo. Lo rivela uno studio diffuso oggi da Greenpeace, in cui sono mappati gli allevamenti intensivi italiani segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR). La mappa mostra che le regioni della Pianura Padana sono quelle maggiormente a rischio, ospitando il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Il Veneto è al terzo posto, subito dopo Lombardia ed Emilia-Romagna, con 105 allevamenti segnalati nel Registro e un totale di 3.712.067€ di fondi pubblici destinati ad aziende che hanno dichiarato emissioni di ammoniaca superiori alla soglia di monitoraggio.

Consulta la mappa online.

L’ammoniaca liberata negli allevamenti è una sostanza pericolosa perché, combinandosi con altre componenti atmosferiche (ossidi di azoto e di zolfo), genera polveri fini (PM2,5) che possono avere importanti ricadute per la salute, come Greenpeace ha segnalato in un precedente studio condotto con ISPRA. Dati alla mano, a causa delle emissioni di ammoniaca,  in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%). Mappare dove si trovano i maggiori emettitori di ammoniaca è quindi cruciale per sapere quanto è compromesso l’ambiente in cui viviamo.

Nel complesso, l’associazione ambientalista ha geolocalizzato 894 allevamenti inquinanti appartenenti a 722 aziende, alcune delle quali fanno capo a gruppi finanziari come il colosso assicurativo Generali, a nomi noti del food come Veronesi SpA, holding che comprende i marchi Aia e Negroni, o a grandi aziende della zootecnia come il gruppo Cascone.

Aggiornando i dati pubblicati nel 2018, l’inchiesta di Greenpeace mostra come quasi 9 aziende su 10, tra quelle che possiedono allevamenti segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), abbiano ricevuto finanziamenti nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC): un totale di 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50.000 euro ad azienda.

“Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019. Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze, se, parallelamente, si continua a finanziare il modello zootecnico intensivo che le produce e a consentire l’apertura di nuovi allevamenti intensivi in territori già sotto pressione?”, dichiara Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

L’inquinamento degli allevamenti italiani svelato dall’indagine di Greenpeace è solo la punta dell’iceberg. Infatti, il Registro europeo E-PRTR riporta solo una parte delle emissioni della zootecnia, tanto che nel 2020 il 92% delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti non ha trovato “responsabili” nell’E-PRTR, perché non monitorato. Questa dannosa lacuna segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni inquinanti. Una proposta, però, che ha già scatenato violente reazioni da parte di esponenti politici e di alcune organizzazioni di categoria.“Sembra che si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati attività insalubri di prima classe, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei. Rimandare questi provvedimenti, significa ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi”, conclude Savini.

 

 

 

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