Calzaturiero, in Veneto cresce l'export ma cala il numero delle imprese

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Le due facce dell’industria calzaturiera veneta: da una parte la ripresa veemente delle esportazioni, dall’altra il calo del numero di imprese attive. Eppure, nel 2021 il comparto calzaturiero italiano ha registrato un incremento del fatturato nazionale pari al +18,7% sul 2020, attestandosi a 12,7 miliardi di euro. Un valore, però, ancora inferiore all’epoca pre-covid (-11% rispetto al 2019). È la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici in occasione della fiera Micam, in corso a Rho, di un settore in cui le grandi firme trainano l’export, e le aziende viaggiano a velocità differente (solo una su tre ha recuperato i livelli ante pandemia). Il tutto mentre incombe l’ombra gettata dallo scenario geopolitico in continua evoluzione in Ucraina.

Quante sono le imprese calzaturiere in Veneto

In Veneto nel 2021 il numero di imprese attive (tra calzaturifici e produttori di parti) secondo i dati di Infocamere-Movimprese, ha registrato un saldo negativo di -18 unità (industria + artigianato), accompagnato da un calo di -62 addetti nella forza lavoro. Per quanto riguarda le ore di cassa integrazione guadagni autorizzate da INPS nel 2021 per le imprese venete della filiera pelle, sebbene si registri una flessione del -43,3% rispetto al 2020, sono rimaste su livelli eccezionalmente elevati: sono state infatti autorizzate 8,4 milioni di ore, quasi 6 volte quelle del 2019 (+486%).

Sul fronte dell’export, che ha superato i 2,8 miliardi di euro, si registra una crescita del +14,8% in valore rispetto all’anno precedente, tra calzature e componentistica (con un +2,2% sui livelli pre-pandemia del 2019).A livello provinciale, recupero del +14% sul 2020 per Treviso, +12,8% per Padova, +30,2% per Venezia, +14,8% per Verona. Le prime 5 destinazioni dell’export veneto nel 2021 sono risultate: Francia (+37,3%), Germania (+18,2%), Svizzera (-14,6%), USA (+52,8%) e Spagna (+24,7%); assieme coprono il 59% dell’export regionale. Russia (41,6 milioni di euro, -6,3% sul 2020) e Ucraina (8,7 milioni, -4,7%) sono risultate il 12° e il 35° mercato per gli operatori veneti nel 2021, con una quota complessiva dell’1,8% sul totale export della regione.

Sull’andamento nazionale è intervenuto il presidente di Assocalzaturifici, Siro Badon: «L’accelerazione dell’export nel quarto trimestre ha permesso al calzaturiero di archiviare il 2021 mantenendo gli incrementi a doppia cifra che avevano caratterizzato la prima metà dell’anno. Dopo il crollo del 2020, anno in cui è stato duramente penalizzato dal lockdown e dalle restrizioni durante le due ondate pandemiche, il settore è ripartito, con un fisiologico rimbalzo nel secondo trimestre cui è seguito un recupero con intensità più contenuta. Tutte le principali variabili mostrano incrementi non trascurabili in valore, compresi tra il +15 e il +20% (spesa delle famiglie italiane +15,6%, produzione ed export attorno al +17%; fatturato +18,7%). Ma la ripresa è a macchia di leopardo e spesso ancora insufficiente nel ritmo, tanto che gran parte delle imprese non ha ancora raggiunto i ricavi 2019 antecedenti l’emergenza sanitaria. Se i grandi gruppi internazionali del lusso hanno ripreso a correre, trainando le vendite estere settoriali, tra le aziende piccole e medie molte non ce l’hanno fatta a superare lo shock della crisi e numerose sono le imprese tuttora in difficoltà, come mostra il ricorso agli ammortizzatori sociali rimasto su livelli eccezionali (benché in calo rispetto al 2020)».

«Inoltre – prosegue Badon – pesa l’incognita dell’operazione militare della Russia in Ucraina con rischi per l’impatto commerciale sull’interscambio delle nostre aziende con questi Paesi, che sono tra i prioritari, con una clientela che risponde ad una domanda di beni di lusso e di fascia alta. Due mercati verso cui l’Italia ha esportato complessivamente nel corso del 2021 calzature per circa 317 milioni di euro e che stavano lentamente riavvicinandosi (con un +9,3% complessivo sul 2020) ai livelli pre-Covid (nel 2019 l’export verso i due paesi valeva 346,4 milioni di euro)».

L’export calzaturiero italiano

Nel dettaglio, l’export italiano ha raggiunto in valore (10,3 miliardi di euro a consuntivo) il secondo miglior risultato di sempre, anche al netto dell’inflazione. Bene, in particolare, le prime due destinazioni, ovvero Svizzera (+16,2% in valore sul 2020, nei primi 11 mesi) e Francia (+24%), tradizionalmente legate al terzismo; ma anche USA (+42%) e Cina (+37,5%) che ha già abbondantemente superato i livelli 2019. Tra i primi 20 mercati di sbocco, solo 3 hanno registrato nel 2021 un segno negativo: Regno Unito, Giappone e Corea del Sud (che ha così interrotto la forte e costante crescita degli anni precedenti). Infine si guarda con preoccupazione alla crisi russo Ucraina che inevitabilmente frenerà la ripresa appena descritta data l’importanza strategica dei due mercati per la calzatura italiana. Risale l’attivo del saldo commerciale (+22% da gennaio a novembre), atteso a poco meno di 5,2 miliardi nei 12 mesi.

Sul fronte interno, invece, gli acquisti delle famiglie (pur in crescita del +15,6% in valore, con un +12,1% in volume) restano ancora al di sotto dell’11,1% rispetto alla situazione già largamente insoddisfacente di due anni addietro. L’analisi per merceologia evidenzia incrementi attorno al +16% in spesa sul 2020 per le calzature classiche per uomo e del +18% per quelle per donna; entrambe le voci, duramente colpite nel 2020 dal venir meno di molte occasioni d’uso, restano però al di sotto di circa il -20% rispetto al pre-crisi; +14% per le scarpe da bambino; +16,3% per le sportive e le sneakers (con un gap del -4% sul 2019). Aumento contenuto, infine, per la pantofoleria (+6%), ma sufficiente ad appianare il divario con la situazione pre-Covid (+0,3%), visto il diffuso utilizzo durante la permanenza forzata nelle case nel 2020 e quindi la minor flessione negli acquisti subìta. Permane inoltre in forte sofferenza lo shopping legato al turismo straniero, sempre molto penalizzato.

Occupazione in calo nel calzaturiero

Dal punto di vista occupazionale, nel 2021 si contano in Italia 3.981 calzaturifici attivi, con un saldo negativo di -171 unità rispetto a dicembre 2020 (-4,1%). La forza lavoro settoriale è scesa a 70.586 addetti, -1.296 sul 2020 (-1,8%). Considerando anche i produttori di componentistica, i saldi precedenti salgono a -312 aziende e -2.067 addetti rispetto al 2020, tra industria e artigianato. Il numero di imprese attive cala in tutte le regioni. Con riferimento agli addetti, Campania e Puglia risultano le uniche in controtendenza (+95 e +148 unità). Nelle Marche e in Toscana le riduzioni più elevate in termini assoluti sia nelle imprese attive (-114 e -65 unità rispettivamente) che nel numero di addetti (-1.269 e -624).

Infine, dopo il picco del 2020 raggiunto a seguito dell’interruzione delle attività lavorative durante il lockdown (83 milioni di ore), nel 2021 le autorizzazioni rilasciate da INPS per la filiera pelle sono scese a 68,2 milioni (-17,8%), restando però su livelli più di 8 volte superiori a quelli del 2019 (+722%), a testimonianza di uno scenario ancora decisamente complesso in cui l’aumento dei prezzi delle materie prime (che ha caratterizzato tutto il 2021) e quello dei costi energetici erodono i margini delle imprese, mettendo a rischio la ripartenza stessa del settore.

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