Veneto, negli ultimi 5 anni scomparse oltre 30 mila partite Iva

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Sono agricoltori, artigiani, esercenti, piccoli commercianti e liberi professionisti non iscritti alle casse. Costituiscono la gran parte del mondo del lavoro autonomo, la categoria professionale che è stata la più colpita dal Covid. Nel quinquennio esaminato in questa analisi, questo popolo di microimprenditori si è decisamente assottigliato:  all’appello, in Veneto, ne mancano 31.798.  Se a febbraio 2015 lo stock complessivo ammontava a 414.034, a dicembre 2020 (ultimo dato disponibile) è sceso a 382.236 unità (-7,7 per cento). A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati occupazionali presentati nei giorni scorsi dall’Istat.

Sempre in questo arco temporale, a livello provinciale la situazione più critica si è registrata a Rovigo, con una contrazione percentuale del numero degli autonomi di 11 punti. Seguono Vicenza (-9,5 per cento), Belluno e Verona (- 9,1 per cento), Padova (-6,8 per cento), Venezia (-5,9 per cento) e Treviso (-5,6 per cento). In tutte le province è stato molto deciso il ridimensionamento del numero degli  artigiani e commercianti, mentre in tutte le 7 realtà provinciali il numero del professionisti con gestione separata Inps (ovvero senza cassa) sono in aumento.

«Nonostante non vi siano ancora i dati di dettaglio, la crisi pandemica e le conseguenti limitazioni alla mobilità, il calo dei consumi, le tasse e l’impennata del costo degli affitti  hanno peggiorato una situazione di per sé molto deteriorata», spiega la Cgia. Negli ultimi mesi, inoltre, si è fatto sentire anche il caro energia. Le bollette di luce e gas, infatti, hanno subito dei rincari spaventosi. «Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi 10 anni le politiche commerciali della grande distribuzione organizzata e il boom delle vendite on line sono diventate sempre più mirate ed aggressive, per molti artigiani e altrettanti piccoli commercianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna. Anche in Veneto».

Per tentare una inversione di tendenza, oltre ad abbassare le tasse, rilanciare i consumi e ad alleggerire il peso della burocrazia per la Cgia è necessario, in particolar modo nell’artigianato, rivalutare il lavoro manuale. «Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa. Attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, sono stati fatti alcuni passi importanti, ma non basta. Bisogna fare una vera e propria rivoluzione per ridare dignità,  valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che  rischiamo colpevolmente di perdere. Come dicevamo, la crisi c’è, morde e fa paura, ma, nonostante ciò, c’è anche il rovescio della medaglia. Non sono pochi, infatti, i settori dove i posti di lavoro rimangono scoperti perché i giovani non sono disponibili a impegnarsi professionalmente. Gli autisti di mezzi pesanti,  addetti alle macchine a controllo numerico,  i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera sono pressocché introvabili. Senza contare che, al netto dei lavoratori stranieri,  nel settore delle costruzioni è sempre più difficile reperire conduttori di macchine per il movimento terra, carpentieri, cappottisti, posatori e lattonieri».

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