Veneto, artigiani e commercianti, la grande crisi: in 10 anni 50mila in meno

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In quasi un decennio il Veneto ha perso 16.386 commercianti e oltre il doppio di artigiani: precisamente 33.945. In altre parole, tra il 2011 e la fine del 2020 il cosiddetto popolo delle partite Iva ha perso in queste 2 categorie complessivamente 50.331 iscritti. Una contrazione che ha riguardato tutte le province del nostre territorio. In termini percentuali, per quanto riguarda l’artigianato le situazioni più critiche si sono registrate a Rovigo (-22,6 per cento), a Verona (-22,5 per cento), a Vicenza (-17,8 per cento) e a Belluno (-16,9 per cento).  Nel commercio, invece, le note più negative hanno interessato Belluno, Rovigo (entrambe con -14,3 per cento) e Vicenza (-11,9 per cento). Attualmente in Veneto ci sono 158.402 artigiani e 166.645 commercianti. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi della CGIA.

  • Le cause di questa moria

Ai tradizionali problemi che da sempre assillano le micro imprese (tasse, burocrazia, mancanza di credito, etc.), le chiusure imposte per decreto e le limitazioni alla mobilità registrati in questo ultimo anno e mezzo sono state esiziali. Non dobbiamo nemmeno dimenticare il crollo dei consumi delle famiglie e il boom dell’e-commerce: per tanti autonomi la situazione è diventata insostenibile e l’unica cosa da fare è stata quella di chiudere l’attività. Queste micro realtà, ricordiamo, vivono quasi esclusivamente di domanda interna, legata al territorio in cui operano. Solo nel 2020, nel Veneto  i  consumi delle famiglie sono scesi di quasi 13 miliardi di euro, soldi che in gran parte alimentavano i ricavi delle piccolissime attività che, a seguito di questa contrazione, non sono più riuscite a far quadrare i propri bilanci.

  • Senza negozi le città non sono più le stesse

Camminando lungo i centri storici e nei quartieri sia delle città che dei piccoli paesi di periferia del nostro Veneto, è in forte aumento il numero delle botteghe artigiane e dei piccoli negozi commerciali con la saracinesca costantemente abbassata e le luci all’interno completamente spente. Meno visibile a occhio nudo, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le nostre città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono poco frequentate, più insicure e  con livelli di degrado in aumento.

  • Subito un tavolo di crisi sul lavoro autonomo

La CGIA ritiene sia giunto il momento di aprire un tavolo di crisi permanente a livello regionale. Mai come in questo momento, infatti,  è necessario dare una risposta ad un mondo, quello autonomo, che sta vivendo una situazione particolarmente delicata.  Intendiamoci, misure miracolistiche non ce ne sono. E non dobbiamo nemmeno dimenticare che in questo ultimo anno e mezzo oltre ai ristori (ancorchè del tutto insufficienti), gli esecutivi che si sono succeduti hanno, tra le altre cose, approvato l’Iscro, esteso l’utilizzo dell’assegno universale per i figli a carico anche agli autonomi ed è stato introdotto il reddito di emergenza per chi è ancora in attività. Tutte misure importanti, ma non sufficienti per arginare le difficoltà emerse in questi mesi di pandemia. 

  • Più impresa nelle scuole

E’ altresì necessario coinvolgere il Ministero dell’Istruzione e le sue articolazioni territoriali affinchè attivi quanto prima una importante azione informativa/formativa nei confronti degli studenti delle scuole medie superiori che li sensibilizzi in particolar modo su un punto; una volta terminato il percorso scolastico,  nel mercato del lavoro ci si può affermare anche come lavoratori autonomi. Prospettiva, quest’ultima, che tra i giovani è poco conosciuta. E’ inoltre auspicabile, dove queste esperienze non sono radicate, aprire momenti di confronto tra le parti sociali (associazioni datoriali e sigle sindacali), le istituzioni locali (Comuni, Province, CCIAA, etc.) e il mondo della scuola con l’obbiettivo di avvicinare il più possibile la domanda all’offerta di lavoro. Un problema, quello del mismatch occupazionale, che paradossalmente interessa anche quelle aree del Nordest che presentano livelli di disoccupazione giovanile molto elevati.

  • A rischio la coesione sociale del Veneto

Inutile ricordare che quando perdono il posto c’è una sostanziale differenza tra i lavoratori dipendenti e gli autonomi. Mentre i primi possono beneficiare di alcune importanti misure di sostegno al reddito (Cig, Naspi, etc.), i secondi, invece, non possono contare quasi su nulla. A loro rimane solo  il fallimento di un’esperienza lavorativa finita male e l’angoscia di come reinventarsi il proprio futuro. La CGIA sostiene che i negozi di vicinato e le botteghe artigiane presenti anche nel Veneto hanno bisogno di sostegno perché garantiscono la coesione sociale del nostro sistema produttivo. Se spariscono le micro imprese, rischiamo di abbassare notevolmente la qualità del nostro made in Italy. Per questo è indispensabile tagliare la burocrazia, rivedere il fisco, abbassando drasticamente il peso di imposte e contributi e approvare quanto prima la riforma degli ammortizzatori sociali che, in caso di chiusura dell’attività, preveda delle misure di sostegno al reddito anche ai lavoratori autonomi.

 

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