Riciclaggio, meno segnalazioni in Veneto. Più liquidità, meno spazio per le mafie

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Sebbene a livello nazionale le segnalazioni sospette di riciclaggio ricevute dall’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia siano in aumento, nel Veneto, invece, scendono: l’anno scorso le “denunce” sono state 8.374, 417 in meno rispetto al 2019. Oltre il 99 per cento del totale delle segnalazioni giunte nel 2020 riguarda operazioni di riciclaggio di denaro che, molto probabilmente, sono di provenienza illegale e poco meno dell’1 per cento, invece, sono riconducibili a misure sospette di terrorismo e proliferazione di armi di distruzione di massa.

A livello provinciale le situazioni più critiche si registrano nelle province di Verona (186,2 segnalazioni ogni 100 mila abitanti), di Padova (174,7) e di Vicenza (174,4). Rispetto al 2019, l’unico territorio ad aver subito un incremento della variazione è stato Belluno (+21,6 per cento).

Più credito bancario alle imprese, meno infiltrazioni

La contrazione delle segnalazioni di riciclaggio avvenuta in Veneto potrebbe trovare una sua “giustificazione” nel fatto che in questo ultimo anno gli impieghi bancari vivi alle nostre imprese sono tornati a crescere.  Se tra il marzo del 2011 (picco massimo di erogazione dei prestiti bancari alle aziende) fino allo stesso mese di quest’anno, le aziende venete hanno subito una stretta creditizia pari a 26,4 miliardi di euro (-26,4 per cento), nell’ultimo anno, invece, grazie alle misure a sostegno delle Pmi messe in campo dal governo Conte, i prestiti bancari sono aumentati di 5,4 miliardi (+7,9 per cento). Una inversione di tendenza importante, che potrebbe aver evitato a molte imprese la possibilità di “incorrere” in operazioni economico/finanziarie poco trasparenti.

Oltre 12mila imprese “schedate”: sono quelle più a rischio

Tuttavia, sono poco più di 12mila le imprese venete  che presentano crediti in sofferenza. In altre parole stiamo parlando delle aziende e delle partite Iva che risultano essere “schedate” presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia come insolventi. Una classificazione che, di fatto, pregiudica a questi soggetti economici di accedere a prestiti erogati dalle banche e dalle società finanziarie. Una condizione che, ovviamente, non consente di avvalersi nemmeno delle misure agevolate approvate l’anno scorso con il “decreto Liquidità” . Non potendo ricorrere a nessun intermediario finanziario queste Pmi, strutturalmente a corto di liquidità e in grosse difficoltà finanziarie,  in questo periodo di carenza di credito rischiano molto più delle altre di scivolare tra le braccia degli strozzini. Per evitare tutto questo è necessario incentivare il ricorso al “Fondo per la prevenzione” dell’usura. Uno strumento, quest’ultimo,  presente da decenni, ma poco utilizzato, anche perché sconosciuto ai più e, conseguentemente, con scarse risorse economiche a disposizione. Al 31 marzo scorso, le situazioni più critiche riguardano le province di Padova (2.500 imprese in sofferenza), di Vicenza (2.465) e Treviso (2.197).

La conferma anche dai Ros: le imprese senza liquidità sono facile preda delle mafie

Una platea di aziende, quelle segnalate alla Centrale dei rischi, a cui è pressocchè interdetta la possibilità di chiedere un “sostegno” alle banche che, rispetto alle altre, sono le più esposte al rischio di essere “avvicinate” dalle organizzazioni criminali.  Una tesi che è stata confermata anche dai vertici dei Ros (Raggruppamento operativo speciale). In un’intervista rilasciata sul principale giornale economico del Paese ben prima dell’avvento della pandemia, il comandante Pasquale Angelosanto ha sottolineato come i mafiosi detengono una quantità enorme di liquidità proveniente da operazioni illecite da reimmettere nel mercato.  Spesso, manager in doppio petto si  offrono alle imprese settentrionali in difficoltà come risolutori di queste crisi. Insomma, si presentano come una banca, anche se poi applicano ben altre regole. Il finanziamento erogato diventa il “grimaldello” per acquisire una partecipazione significativa nell’amministrazione societaria dell’impresa. Poichè l’imprenditore non è più nelle condizioni di restituire la somma ricevuta, col tempo i malavitosi diventano i nuovi proprietari.

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