Da Padova agli Usa, Francesca Vallese e Stefano Ermon fra i migliori scienziati italiani in Nord America

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Francesca Vallese è nata a San Donà di Piave, Stefano Ermon a Trento. In comune hanno gli anni di studio, all’Università di Padova, e ora l’essere stati selezionati fra gli 11 migliori scienziati italiani negli Usa. Sono i finalisti degli Young Investigator Awards assegnati da ISSNAF, la fondazione che riunisce migliaia di scienziati e accademici italiani attivi in laboratori, università e centri di ricerca in Nord America. Le loro sono storie di giovani menti brillanti che in diversi campi, dalla medicina, all’ingegneria, alla computer science, tengono alto il nome della nostra ricerca negli Stati Uniti e in Canada.

Nel corso dell’evento annuale di ISSNAF, che si terrà il 1° dicembre 2020 in modalità digitale (qui il link per registrarsi), in collaborazione con l’Ambasciata italiana di Washington, e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, saranno proclamati i vincitori di ciascuno dei 4 premi tematici: Embassy of Italy Award per i ricercatori che stanno contribuendo alla lotta contro il Covid-19, Paola Campese Award per la ricerca sulle leucemie, Franco Strazzabosco Award per l’ingegneria, e Mario Gerla Award per la ricerca nelle scienze informatiche.

Scheda: Francesca Vallese

Il suo sogno è riportare in Italia, magari all’Università di Padova, dove si è laureata in Biotecnologie e ha completato un PhD in Bioscienze e biotecnologie nel campo della cristallografia a raggi X e dove mantiene diverse collaborazioni, competenze e strumenti appresi durante i tre anni che sta trascorrendo nei laboratori della Columbia University di New York. Qui Francesca Vallese, 36 anni, di San Donà di Piave (Ve), si è trasferita per studiare l’utilizzo di CryoEM, una tecnica di microscopia elettronica a trasmissione in cui il campione viene studiato a temperature criogeniche, in cui l’ateneo newyorkese è specializzato (Joachim Frank, Premio Nobel per la Chimica 2017 per il suo contributo nel campo del CryoEM, lavora proprio qui).

«Questi microscopi sono potentissimi e molto molto costosi. In Italia ce ne sono solo un paio in tutto il Paese. Negli Stati Uniti è diverso: ne abbiamo cinque solo all’interno della Columbia University», racconta. Ora Francesca è tra i finalisti all’Embassy of Italy Award dedicato ai giovani ricercatori che combattono contro il Covid-19, premio assegnato da ISSNAF, la fondazione che riunisce migliaia di scienziati e accademici italiani attivi in laboratori, università e centri di ricerca in Nord America. «Una competizione che ha messo in rilievo, ancora una volta, il contributo critico e l’altissimo livello qualitativo e innovativo delle stelle nascenti della ricerca italiana nel mondo» commenta Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami e Jury Chair del premio. «L’importanza del lavoro portato avanti dai ricercatori italiani in Nord America nella lotta contro il Covid-19 è stato ampiamente documentato da questa competizione nella quale tutte e tre le finaliste hanno presentato progetti di ricerca di altissimo livello».

«Già mentre ero in Italia, il mio interesse – prosegue Francesca Vallese – si è spostato sulle proteine di membrana legate in particolare al trasporto di ioni, e ho attivato numerose collaborazioni in Italia e all’estero che mi hanno fatto subito capire l’importanza di un respiro internazionale della scienza. In particolare, sono stata coinvolta nello studio del complesso di proteine che regolano il canale MCU e la PMCA, la calcio ATPasi della membrana plasmatica coinvolta nell’omeostasi del calcio all’interno delle cellule».

Francesca è approdata nella Grande Mela solo pochi mesi prima dell’inizio della pandemia che ha praticamente bloccato tutti i progetti in corso. Ha avuto così la possibilità di dare un contributo nella lotta contro il virus. Oggi la ricercatrice sta lavorando su un progetto di ricerca incentrato sulla caratterizzazione strutturale della proteina E, una delle più importanti proteine SARS-CoV-2 legate alla sua replicazione e virulenza. Durante i mesi di lockdown è stata anche coinvolta nello sviluppo di un test ELISA per lo screening degli anticorpi Covid da utilizzare presso il New York Presbyterian Hospital al fine di verificare velocemente la positività del personale medico e dei pazienti, proseguendo nei mesi successivi per testare il personale del reparto e altre persone potenzialmente esposte al virus.

Scheda: Stefano Ermon

Un algoritmo avanzato che, analizzando le immagini satellitari, riesce a prevedere povertà, effetti del cambiamento climatico, inquinamento e spostamenti di popolazioni. È il progetto che Stefano Ermon, professore di informatica alla Stanford University, porta avanti dal 2015 e che ha l’obiettivo di sviluppare politiche più efficienti per sconfiggere le disuguaglianze del mondo.

Nato nel 1984 a Trento, Ermon è uno dei candidati finalisti al premio “Mario Gerla Award for Engineering”, promosso da ISSNAF, l’organizzazione no-profit che riunisce i ricercatori italiani che operano nel Nord America. «Questo premio è stato istituito in ricordo del professor Mario Gerla, un pioniere nell’ambito delle scienze informatiche, ricordato per aver saputo definire protocolli wireless per applicazioni di gestione del traffico e di sicurezza di veicoli. Tecniche che sono oggi ampiamente usate» commenta Elisa Bertino, docente di computer science alla Purdue University e Jury Chair del premio. «Ma il premio evidenzia in particolare l’importanza e l’impatto che le scienze informatiche hanno avuto, fin dai loro primi passi, sulla nostra società e i contributi futuri che daranno per affrontare le sfide globali che attendono l’umanità».

La passione di Ermon per l’intelligenza artificiale nasce alle superiori, quando voleva progettare un algoritmo che gli permettesse di evitare i compiti per casa. Poi il trasferimento a Padova per studiare ingegneria informatica e la spinta ad andare negli States da parte di Gianfranco Bilardi, suo relatore di laurea e mentore. In seguito il dottorato in Computer Science & Machine learning alla Cornell University, dove ha scoperto la “Sostenibilità computazionale”, il nuovo filone di ricerca di cui ora è uno dei maggiori esponenti, che unisce le scienze sociali all’intelligenza artificiale.

«Ero appena arrivato a Stanford, e stavo parlando con un altro nuovo professore in economia, che si lamentava della scarsità di dati sul continente africano per studiare temi sociali. Allora abbiamo messo insieme le nostre competenze, trovato uno studente interessato e iniziato il nostro progetto – racconta il ricercatore -. Oggi le immagini satellitari sono molto dettagliate, economiche e costantemente aggiornate. Il mio lavoro è costruire algoritmi che analizzino queste immagini e raccolgano dati sul cambiamento climatico, la deforestazione, gli spostamenti delle popolazioni, le carestie e l’inquinamento. Elaborando questi dati gli algoritmi possono anche fare delle previsioni sugli indicatori economici, e capire se certe zone del mondo stanno migliorando o peggiorando. Le risposte che otteniamo sono open source, a disposizione del mondo accademico».

Oggi il laboratorio di ricerca di Ermon è più grande e organizzato: ha inoltre avviato un corso dove gli studenti possono sviluppare progetti e trovare soluzioni a questioni sulla sostenibilità. Spesso al suo laboratorio arrivano professori da altri dipartimenti che hanno un problema: tramite il machine learning, si cerca di trovare la soluzione. Come l’ultimo progetto del ricercatore, che riguarda l’ottimizzazione delle batterie: Ermon, insieme al suo team, ha sviluppato un algoritmo che fa esperimenti 24/7, riceve dati e decide qual è il modo migliore per caricarle.

Parlando di futuro, Stefano Ermon è convinto di voler rimanere nella Silicon Valley ancora per un po’: «È un ambiente stimolante, qui l’innovazione è di casa. Ci sono sempre novità, tecnologie ed esperti di ogni tipo. Data science, big data e machine learning stanno diventando componenti fondamentali del metodo scientifico, perché possono accelerare altri processi scientifici, combinare diverse conoscenze, sviluppare nuovi ipotesi, e testarle in autonomia. Un compito oggi molto difficile ma molto importante».

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