Redditi 2020, meno di mille euro al mese per 1,3 milioni di veneti

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Se le dichiarazioni dei redditi sono lo specchio più nitido per raccontare la situazione economica di un territorio, allora nella nostra regione non si può certo sorridere. Secondo gli ultimi dati Irpef riferiti all’anno 2020, due contribuenti veneti su cinque (più di 1 milione 300 mila persone) denunciano meno di mille euro netti al mese (15 mila euro lordi annui) in un contesto che vede il 72% dei contribuenti sotto i 26 mila euro lordi (poco più di 1.600 euro netti mensili). Pensionati e lavoratori dipendenti sono le categorie più “povere” anche se partecipano per l’88,7% all’imponibile Irpef. Di contro i ricchi e i super-ricchi, con entrate superiori ai 75 mila euro, sono, almeno sulla carta, pochissimi: il 2,5% del totale dei contribuenti. E il timore è che anche in Veneto si annidi una massiccia quota di sommerso.

Sono queste le principali considerazioni che emergono dalle dichiarazioni dei redditi del 2021 (anno di imposta 2020) pubblicate di recente nel sito del Ministero ed elaborate dallo Spi Cgil del Veneto.

«I risultati – commenta Elena Di Gregorio, segretaria generale dello Spi Cgil del Veneto – mostrano ancora una volta una iniqua distribuzione del reddito anche nella nostra regione, considerata una delle più ricche del Paese. E purtroppo sottintendono la presenza di un’evasione fuori controllo che viene pagata dalle fasce più fragili, come gli anziani, i quali subiscono la riduzione di servizi essenziali, in particolare in campo sociale e sanitario, proprio per la carenza di risorse sottratte alla collettività da chi non paga le tasse. Eppure, come dimostrano i dati che abbiamo elaborato, l’88,7% dell’imponibile Irpef è prodotto da pensionati e lavoratori dipendenti i quali, dunque, finanziano quasi tutto il welfare, sostenendo i servizi essenziali in ambito sociosanitario. Di contro alla formazione dell’imponibile viene sottratta una parte consistente di ricchezza, quella di chi non paga le tasse».

Secondo le elaborazioni del sindacato, nel 2020, anno della pandemia, i redditi dei dipendenti sono leggermente diminuiti, da 21.899 euro lordi del 2019 ai 21.468 del 2020, mentre i pensionati hanno visto un leggero aumento, in linea con l’adeguamento all’inflazione: da 18.032 a 18.424 euro. In ogni caso – per dipendenti e pensionati – stiamo parlando di entrate medie inferiori ai 1.500 euro netti mensili, del tutto insufficienti anche di fronte alla bolla inflazionistica del 2022 che in Veneto viaggia ormai oltre il 6%. Si riduce – a causa del Covid – il reddito degli autonomi che per il 2020 hanno dichiarato 5 mila euro in meno del 2019, passando da 63.513 a 58.699 euro lordi annui. Stesso discorso per gli imprenditori in contabilità ordinaria: per loro in un anno circa 3 mila euro in meno di media, da 43.716 euro del 2019 ai 40.515 del 2020. A conti fatti, l’imponibile totale in Veneto sfiora i 75 miliardi di euro e, come detto, circa l’89% (66 miliardi e mezzo) è prodotto da lavoratori dipendenti e pensionati.

Guardando alle fasce di reddito, il 37,7% dei veneti ha dichiarato meno di 15 mila euro lordi annui, il 34,4% fra i 15 e i 26 mila euro. Un altro quarto di contribuenti oscilla fra 26 e i 55 mila euro, mentre al di sopra di questo importo le percentuali si riducono drasticamente tanto che solo il 2,5% dei veneti denuncia guadagni superiori ai 75 mila euro lordi annui (6.250 euro lordi al mese).

A livello territoriale la provincia più povera risulta essere Rovigo. Qui il 41,3% dei contribuenti dichiara meno di 15 mila euro lordi annui, i lavoratori dipendenti hanno una entrata di 19.469,35 euro lordi annui e i pensionati di 17.070, al di sotto della media regionale. Va meglio nel Vicentino con il 35,1% di lavoratori sotto i mille euro netti mensili, anche se per i dipendenti il reddito pro-capite più elevato è nel Padovano (22.289,88 euro) e, per i pensionati, nel Veneziano (19.023,21 euro).

«Di fronte a questi numeri – conclude Di Gregorio – riteniamo sempre più necessaria una seria riforma fiscale che riduca le imposte sul lavoro dipendente e sulle pensioni ripristinando una vera progressività. Da tempo chiediamo la tassazione delle rendite ma anche esenzioni per le fasce più povere della popolazione. Come sindacato dei pensionati partecipiamo attivamente ai tavoli della contrattazione sociale ed è lì che invitiamo i Comuni a sottoscrivere i patti antievasione, strumento importante per garantire che tutti i cittadini contribuiscano al benessere della comunità in rapporto al proprio effettivo reddito. Purtroppo solo una ventina di Comuni su 563 hanno siglato il patto, un numero esiguo. I sindaci devono cogliere questa grande opportunità che permette anche il recupero di risorse utili per finanziare il welfare territoriale».

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