L'arte della comunicazione inclusiva e accessibile: nasce a Padova Indig, l'idea di tre under 30

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

«Comunicare in modo inclusivo e accessibile nel mondo digitale degli anni ‘20». È la descrizione del profilo Instagram di Indig (Inclusive Digital Communication), un progetto social di divulgazione e informazione sulla comunicazione digitale, lanciato a dicembre da tre under-30, Carola Bravin, Nicolò Manfredini e Roberto Rafaschieri. Un progetto nato a Padova, ma operativo (per ora) esclusivamente in rete, frutto dell’esperienza formativa e professionale delle persone che l’hanno messo in piedi: dal mondo della comunicazione e dei social network, a quello dell’attivismo. È proprio in questo contesto che il vissuto personale dei tre si trasforma nell’esigenza di contribuire attivamente per creare un nuovo standard per la comunicazione, che metta al centro una semplice constatazione: la diversità esiste, online come nella vita di tutti i giorni. «Spesso però, quando comunichiamo, immaginiamo di rivolgerci a un insieme indistinto di persone che condividono determinate caratteristiche che si presume siano condivise da chiunque, e così facendo ne tagliamo fuori molte altre», spiega Nicolò Manfredini, co-fondatore del progetto. «Forse una minoranza, è vero, ma una minoranza decisamente numerosa».

Indig, accortezze «spesso piccole ma dall’impatto notevole»

Indig sulle sue pagine social mette in fila tutti gli aspetti culturali e sociali che vanno tenuti in considerazione per migliorare l’inclusività della propria comunicazione, alternando contenuti teorici a veri e propri suggerimenti “pronti all’uso”. «Nella maggior parte dei casi si tratta di accortezze davvero piccole, ma che possono avere un impatto notevole», dice Carola Bravin. «Il linguaggio che utilizziamo ha un effetto sull’idea di società che vogliamo promuovere: se vogliamo dare importanza alla presenza femminile in determinati settori, ad esempio, dobbiamo ricordarci di declinare anche al femminile i sostantivi che indicano ruoli ricoperti da donne. Allo stesso modo, cercare soluzioni linguistiche neutre rispetto al genere grammaticale significa validare le esperienze delle persone che non si riconoscono nel binarismo di genere; significa interloquire con loro, in modo da non renderle invisibili». Ma non solo: una parte considerevole del lavoro di Indig riguarda l’accessibilità digitale. «Puoi creare il contenuto più interessante e inclusivo del mondo – aggiunge Manfredini – ma se non lo strutturi in modo da renderlo fruibile anche a chi ha capacità sensoriali diverse dallo “standard”, quel contenuto di fatto non sarà inclusivo». Per questo tra i post di Indig, oltre a diversi spunti sull’utilizzo di un linguaggio appropriato nei confronti delle minoranze, potreste trovare anche indicazioni sull’uso dei sottotitoli nelle storie su Instagram (o in qualsiasi altro video), o un vademecum sulla leggibilità dei contenuti digitali (font, colori, contrasti e quant’altro).

«L’idea di iniziare a parlare di questi temi è nata perché ci stavamo rendendo conto che, anche nei luoghi digitali più legati all’attivismo, c’era ancora poca consapevolezza sull’importanza di utilizzare i giusti strumenti comunicativi per rendere un messaggio realmente inclusivo», prosegue Manfredini. Ma Indig non si rivolge soltanto a chi fa attivismo: «Allo stesso tempo, crediamo che l’inclusione sia già oggi un tema assolutamente centrale per qualsiasi organizzazione, nell’ambito delle azioni che ne definiscono la cosiddetta responsabilità sociale, e che lo sarà sempre di più in futuro», spiega Roberto Rafaschieri. «Sia per quanto riguarda ciò che l’organizzazione comunica verso l’esterno, che per il suo funzionamento interno. Per un’azienda, ad esempio, provare a mostrarsi “inclusiva” significa sì puntare ai benefici di una migliore reputazione, ma anche ottenere almeno due risultati a breve termine. Sul fronte esterno, un ampliamento immediato dell’audience di riferimento, che includerà anche chi normalmente non viene “interpellato” dalla comunicazione tradizionale; sul fronte interno, maggiori chance che le azioni di welfare e di diversity management messe in campo dall’organizzazione abbiano riscontri positivi, grazie a una struttura comunicativa in grado di interfacciarsi in modo efficace con tutti – davvero tutti – i collaboratori e le collaboratrici». Attenzione a chi predica bene e razzola male però: «È fondamentale che queste azioni siano coerenti tra loro – aggiunge Bravin – e che lo sforzo inclusivo sia applicato a ogni livello, in ciò che l’organizzazione comunica di sé. Altrimenti il rischio è quello di ottenere un danno di immagine».

Non a caso, nel futuro di Indig c’è l’ambizione di diventare un punto di riferimento per chiunque voglia comunicare qualcosa online, per sé o per conto terzi. «Per ora facciamo divulgazione – specificano i membri del team – ma stiamo lavorando per essere in grado di offrire formazioni e consulenze a imprese o professionisti e professioniste della comunicazione. E, in prospettiva, anche piani di comunicazione integrata sulle iniziative a sfondo sociale di organizzazioni di ogni tipo». Occhi puntati sui social di Indig, insomma, e sulle continue trasformazioni del mondo digitale.

Per info: indig.communication@gmail.com

In foto: il team di Indig. Da sinistra: Roberto Rafaschieri (25), Nicolò Manfredini (29), Carola Bravin (23).

Ti potrebbe interessare