Pfas, chiesto rinvio a giudizio per otto ex dirigenti Miteni

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Otto persone, ex dirigenti Miteni, sono accusate di aver immesso nelle acque sotterranee il rifiuto pericoloso contenente GenX e C6o4, e per questo la Procura di Vicenza ha chiesto per loro il rinvio a giudizio. Questo quanto emerso dall’udienza preliminare del processo per l’inquinamento da Pfas di lunedì 30 novembre. Gli ex dirigenti sono accusati a vario titolo dei reati ambientali avvenuti tra il 2013 e il 2017, ovvero il cosiddetto “filone Pfas-bis”.

Pfas, rinvio a giudizio dirigenti, i reati contestati

Gli imputati con le loro condotte avrebbero inoltre provocato un deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee al sito Miteni. Per quanto riguarda il reato di bancarotta, di cui sarebbero tenuti a rispondere in sette, l’accusa è di aver aggravato il dissesto della società di Trissino, con perdite per quasi 15 milioni di euro tra 2010 e 2017. Alla società Miteni viene invece contestato  l’illecito amministrativo di non essersi dotata di un modello organizzativo «idoneo a prevenire» questi reati, ai sensi del D. Lgs. 231/2001.

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Nella prossima udienza che si terrà il 25 gennaio alle ore 10, il giudice Roberto Venditti si pronuncerà in merito all’eventuale riunione dei due procedimenti, Pfas-1 (che è già nella fase di udienza preliminare), e per Pfas-bis. Presenti all’udienza le difese delle società idriche Acquevenete, Viacqua, Acque Veronesi, Acque del Chiampo, che da tempo si sono affidate agli avvocati Angelo Merlin, Vittore d’Acquarone e Marco Tonellotto, con l’obiettivo di ottenere il risarcimento del danno provocato dall’inquinamento da Pfas e altre sostanze, presentando ai responsabili il conto dei lavori di ripristino e bonifica che le società si sono accollate in questi anni.

Ad oggi sono stati investiti diversi milioni di euro nelle opere di ripristino della salubrità dell’acqua nelle province di Padova, Vicenza e Verona. Con la contestazione del reato di inquinamento da parte della Procura di Vicenza nel “filone Pfas-bis” è stata recepita una delle argomentazioni del collegio difensivo delle società idriche, che avevano pure rappresentato la natura permanente o continuata della compromissione ambientale e quindi la sostanziale non prescrittibilità dei reati ambientali contestati. La tesi risulta essere stata condivisa da una recente sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 7 maggio 2020, n.13843 in materia di disastro ambientale colposo.

Andrea Fasulo

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