Calzature, i numeri del 2019: calano produzione e acquisti, ma sale l'export

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Un anno di alti e bassi per le calzature made in Italy: calano gli acquisti delle famiglie e la produzione, ma l’export è in crescita. A confermarlo sono si dati del Centro studi confindustria moda per Assocalzaturifici, che rileva anche l’aumento del divario tra le performance delle griffe e le piccole medie imprese con marchio proprio, che costituiscono l’ossatura dei distretti: oltre la metà del campione dichiara, con riferimento ai primi 9 mesi, un arretramento rispetto ai livelli di produzione dell’anno precedente del -2,9%.

In diminuzione anche gli acquisti delle famiglie, in calo del -3,3%. Uno tra i pochi dati positivi è l’export, in aumento +6,7% a valore, grazie al terzismo per le griffe del lusso, a fronte comunque di un calo in quantità, giù del  -0,8% nei primi 8 mesi dell’anno, ma che sale fino al -4,2% per le calzature in pelle, ed un prezzo medio in ascesa del +7,5%. A livello globale nei primi nove mesi il numero di calzaturifici si è attestato a 4.357, in calo di 148 unità, pari al -3,3%, mentre gli addetti sono rimasti pressoché stabili a 75.474 (-0,3%, pari a 206 lavoratori in meno).

«Il successo delle nostre calzature all’estero, che conferma l’appeal del made in Italy sui mercati internazionali è ridimensionato dalla contrazione nei volumi che si traduce in una flessione della produzione e degli addetti – spiega Siro Badon, Presidente Assocalzaturifici -.  In questo momento di sofferenza dei consumi interni dovremmo tirar fuori l’ orgoglio nazionale e sostenere le nostre imprese acquistando più scarpe italiane, quelle creazioni sfornate da piccoli produttori che tutto il mondo ci invidia e talvolta noi sottovalutiamo per pura moda esterofila. Al comparto ribadisco ancora una volta che è necessario puntare sempre di più sui giovani e sull’innovazione. Certo, per le nostre imprese i mercati internazionali sono importanti ma è altrettanto fondamentale che tutti giochino al tavolo con le stesse regole. Per questo ci stiamo impegnando perché a livello europeo si approvi una norma che introduca l’informazione di origine obbligatoria. Se i clienti di tutto il mondo e i più prestigiosi brand della moda sono disposti a riconoscere un premium price al made in Italy, allora questo valore aggiunto dobbiamo difenderlo. Altrimenti il patrimonio industriale di uno dei settori cruciali dell’economia del nostro paese andrebbe disperso con ricadute pesantissime in termini occupazionali».

Infine, pessimismo degli imprenditori verso il futuro. La maggioranza, intervistata sulle aspettative per l’anno prossimo, esclude previsioni di crescita; quasi la totalità ritiene inoltre che le misure contenute nel Def 2020 non siano in grado di portare una ricaduta economica sulle imprese.

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