Calzature: export +7,1%, ma il Veneto perde trenta aziende

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Nei primi sei mesi del 2019 l’export italiano è aumentato del +7,1% in valore, ma il Veneto nello stesso periodo ha perso trenta aziende. Il dato emerge dal report sull’Industria calzaturiera italiana–primo semestre 2019 – elaborato dal Centro studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici.

La fotografia scattata dalla nota congiunturale rileva come, malgrado la performance delle esportazioni, persistano nello scenario attuale alcune difficoltà dovute in primis alla debolezza dei consumi interni – che, già provati da un decennio di lenta erosione, hanno registrato nella prima metà dell’anno in corso un intensificarsi della contrazione degli acquisti delle famiglie (-3,7% in quantità, con trend ben più severi per il dettaglio tradizionale).

Sul fronte occupazionale, prosegue il calo nel numero di aziende e nella forza lavoro del settore: il primo semestre 2019 ha chiuso con un saldo di, sommando calzaturifici e produttori di componentistica, -194 imprese e -985 addetti rispetto a fine 2018. Il Veneto chiude invece la prima metà dell’anno con un calo di trenta aziende, tra calzaturifici e componentistica, e con un saldo contenuto nei livelli occupazionali, con venti addetti in meno rispetto a fine 2018.

«Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze – afferma Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici –. È fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero Made in Italy e coniugarsi al meglio con la nostra tradizione e gli standard di eccellenza che caratterizzano la nostra produzione. Un settore fondamentale per la nostra economia e che può far da volano all’intero sistema Paese».

L’evoluzione nel complesso premiante dell’export – che ha spinto l’attivo del saldo commerciale dei primi 6 mesi ad un consolidamento significativo (+10,7%) – nasconde in realtà un’ampia eterogeneità di performance aziendali, che vede la presenza – accanto ai brillanti risultati realizzati da molte griffe internazionali del lusso cui diverse aziende fanno da terzista (come dimostrano le crescite rilevanti dei flussi verso la Svizzera, tradizionale hub logistico-distributivo dei grandi brand, e verso la Francia) – di un numero non trascurabile di imprese che, in un contesto così complesso, ancora stentano ad invertire la rotta e ad intraprendere dinamiche favorevoli.

 

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