ArcelorMittal, il blocco potrebbe abbattersi su 7mila aziende venete

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Sono 7mila le aziende artigiane venete del settore meccanico che potrebbero entrare in crisi a causa dell’annunciato spegnimento degli impianti all’ex Ilva di Taranto da parte di ArcelorMittal. Nonostante l’azienda rassicuri sul fatto che l’altoforno principale non è stato ancora spento, l’allarme per una crisi non ancora risolta viene da Confartigianato Veneto, che calcola in circa 27mila i lavoratori coinvolti nei settori a rischio.

«Con le recentissime notizie di un disimpegno da parte di ArcelorMittal che porterebbe ad un avvio celere dello spegnimento degli altoforni dell’ex Ilva di Taranto, rischiamo uno tsunami che potrebbe investire intere filiere produttive, trascinando nel baratro l’indotto e le comunità locali». A dirlo il presidente di Confartigianato Imprese Veneto Agostino Bonomo, che spiega: «da questa vicenda, se non ci saranno interventi concreti e duraturi, anche la nostra regione potrebbe averne delle forti ripercussioni, in quanto la metà delle aziende metalmeccaniche venete si approvvigionano di acciaio proprio dall’ex ILVA».
Ora gli stessi imprenditori potrebbero essere costretti a cercare il materiale sui mercati esteri, con inevitabili rincari dei costi, stimabili dal 10 al 20 per cento.
I potenziali 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno prodotti all’ex Ilva equivalgono ad un quarto della produzione totale italiana, sia dei prodotti lunghi sia dei prodotti piani. In particolare i prodotti piani (coils, nastri e lamiere) sono fondamentali per grandi aree del Made in Italy. Garantiscono quote importanti della componentistica italiana destinata all’automotive, ma anche per casalinghi, macchine e apparati meccanici, la carpenteria pesante e per il bianco.

«Se la situazione critica dovesse perdurare, – sottolinea Federico Boin Presidente della Federazione veneta della Metalmeccanica di Confartigianato – in regione Veneto potrebbero entrare in crisi oltre 7mila aziende artigiane (delle 13.000 ancora attive) che danno lavoro ad oltre 27 mila persone e, di conseguenza, venir meno molti posti di lavoro. Non dimentichiamo poi che con la procedura di recesso si prevede la cessione del ramo d’azienda che coinvolge 10.777 dipendenti, di cui 8.277 a Taranto. Ma le città coinvolte sono tante, Genova, Novi Ligure, Milano, Racconigi, Paderno Dugnano, sino alle nostre venete Legnaro e Marghera che fanno parte del perimetro dell’Ex Ilva con circa 100 persone a rischio».

Confartigianato Imprese Veneto richiama tutti i soggetti in campo ad azioni concrete di responsabilità socio-economica, che evitino il fermo definitivo degli impianti. «Se da un lato è essenziale mantenere attiva la linea produttiva – conclude Bonomo – è altrettanto necessario però che vengano in qualche modo confermati gli oltre 2 miliardi di euro di investimenti che il player indiano aveva sottoscritto assieme al contratto di affitto per azioni di risanamento nel pieno rispetto delle regole di tutela ambientale e sanitaria, affinché si possano salvaguardare contemporaneamente indotto e realtà produttiva, considerati, a livello internazionale, uno dei fiori all’occhiello dell’economia italiana».

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