Selvazzano, Fip Industriale chiude il ramo edile: 78 licenziati

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La Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Padova) chiude il ramo edile. Una nuova tappa della grave crisi finanziaria che ha investito l’azienda che fino a pochi anni fa occupava 270 lavoratori nel campo dell’ingegneria civile e della costruzione di infrastrutture. Il 4 settembre è stato firmato alla direzione lavoro della Regione Veneto un accordo tra azienda e sindacati che prevede il licenziamento, a seguito della chiusura definitiva del ramo edile, di 78 lavoratori, dei quali 51 afferenti alla divisione edile e 27 relativi agli uffici cosiddetti di staff, con il riconoscimento di un incentivo all’esodo nei loro confronti.

Già nel marzo 2017 l’azienda avviava una procedura di mobilità, terminata con un accordo sindacale per la gestione di 65 licenziamenti non oppositivi. Nel mese di giugno 2018, Fip Industriale cedeva in affitto il ramo della produzione meccanica ad una “newco”, Fip Mec, con il trasferimento in essa di 115 lavoratori. A un solo anno di distanza, un nuovo piano industriale prevedeva la dismissione della parte edile, con l’annuncio il 31 luglio 2018 del licenziamento di 96 persone su 132 dipendenti totali.

Poi grazie al “decreto Genova” è scattata la cassa integrazione straordinaria, dando tempo di far partire due bandi di gara per la cessione del ramo d’azienda, che sono andati però deserti. Ora, anche ai fini del buon esito del concordato, si attende il 19 settembre prossimo, data di scadenza del bando di gara per la cessione dei crediti di Fip Industriale per un valore di oltre 127 milioni di euro, con base d’asta di 11 milioni di euro.

«Nonostante al termine di questa trattativa si sia raggiunto un accordo, rimane l’amarezza per aver dovuto assistere alla fine di un’impresa così importante – commentano il segretario generale della Fillea Cgil padovana Dario Verdicchio e Giulia Sanavio, rsa della Fillea Cgil in Fip Industriale -. Una conclusione non all’altezza della storia di Fip Industriale. Non sarà certo un incentivo all’esodo a compensare ciascun lavoratore licenziato della perdita del posto di lavoro, che sia questo un cittadino veneto o calabrese, edile o metalmeccanico, impiegato od operaio. Per il capitale rappresentato dalla loro professionalità costruita in decenni di appassionato lavoro, oggi a perdere non sono solo questi lavoratori, ma un territorio che si vede privato di un’eccellenza e un Paese a cui viene a mancare l’ennesimo player per lo sviluppo del sistema infrastrutturale, premessa indispensabile per la competizione della nostra economia nel mondo globalizzato. Si resta infine delusi e sconcertati per aver assistito, ancora una volta, all’impossibilità di vedere preservata un’impresa, un bene comune secondo il dettato costituzionale, in una procedura di concordato. Procedura alla quale troppe aziende del settore delle costruzioni sono state e continuano ad essere costrette a ricorrere, per evitare il fallimento e le ancora più pesanti ricadute sull’indotto dei fornitori. Insomma, se si vuole far ripartire il Paese bisogna ripartire dai lavoratori, dalla loro valorizzazione, dalla loro tutela. E rivedere una legislazione che appare sempre più inadeguata a perseguire interessi generali, piegata com’è a favorire solo gli interessi di pochi».

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