Crisi di governo, l'allarme delle imprese: «Paura per la manovra, persi tempo e soldi»

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La crisi di governo è ufficialmente aperta. E le aziende venete sono preoccupate per la ricaduta sull’economia. Che, senza la certezza di una manovra autunnale, rischia di registrare un’indistinta flessione e portare a un autentico tracollo della credibilità internazionale.  Nella convulsa giornata di ieri, giovedì 8 agosto, il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato l’intenzione di voler andare al voto il prossimo ottobre: «Non c’è più una maggioranza, restituiamo la parola agli elettori e mi candiderò premier», ha dichiarato il numero uno del Carroccio. In serata le parole del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, hanno alzato il livello dello scontro interno alla maggioranza: «Farò in modo che questa crisi da lui innescata sia la più trasparente della storia repubblicana. Il mio governo ha sempre lavorato, non era in spiaggia». Aggiungendo, rivolto al ministro dell’Interno, «Venga in Parlamento a spiegare perché vuole la crisi».

Si aprono ora scenari ancora tutti da decifrare. Quel che è certo è che c’è allarme tra imprese e parti sociali, soprattutto in Veneto, dove il rischio di non veder realizzata l’autonomia e, soprattutto, le ricadute sulla manovra economica del prossimo autunno sono al centro delle preoccupazioni.

Commenta duramente la situazione in atto il presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi, senza risparmiare critiche all’attività dell’esecutivo. «Le schermaglie di ieri sono l’atto finale di un Governo che si autoproclamava “del cambiamento” e che invece ha continuamente rinviato qualsiasi decisione potesse avere un impatto sul paese. – dichiara Vescovi in una nota. «Penso alla riduzione del cuneo fiscale ormai dimenticata, all’autonomia differenziata ancora impantanata e alla TAV che è stata sbloccata dopo un anno di perdite di tempo e un braccio di ferro che si è rivelato essere il casus belli per la crisi».

«Quello che è stato fatto, invece – continua Vescovi –  è stato accontentare le proprie reciproche sacche di voto, una strategia di governo che ci ha portati ad un mercato del lavoro più rigido, ad un ritorno allo statalismo che non ha veramente alcun senso, vedasi il caso Alitalia, e che ha spaventato gli investitori italiani ed esteri come ci ha plasticamente rappresentato lo spread, senza contare le giravolte su Ilva e Arcelor Mittal. La stagnazione e l’impossibilità di fare una manovra senza dover ammettere di aver buttato via soldi, tempo e credibilità internazionale ne sono il risultato».

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