Reazione, miglioramento, cambiamento: tre modi di usare i dati per le aziende

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Internet of things, intelligenza artificiale, machine learning: tutto quello che sta cambiando, nel mondo dell’industria contaminata con il digitale, va nella stessa direzione. Quella di macchine che «hanno iniziato a parlare. E a raccontare cose».

La metafora è di Marco Paiola, docente di Strategia d’impresa e marketing all’Università di Padova e coordinatore di Digital Transformation Lab, uno dei protagonisti di Data Valley, l’evento che a Padova il 7 maggio (ore 17.30, Sala Rossini del Caffè Pedrocchi) affronta con esperti e imprenditori il tema dei dati come contributo alla crescita del sistema delle imprese (iscrizione gratuita a questo link).

Paiola, che interviene nel panel “Dati, imprese e territori tra esperienze e opportunità”, ha ampia esperienza di ricerca sulle aziende manifatturiere in ambito b2b del Nordest allargato, e su come le tecnologie 4.0 ne stanno cambiando il volto. Tecnologie che, oltre a cambiare il lavoro in fabbrica, cambiano il rapporto con il mercato.

«Le macchine che queste aziende producono e distribuiscono sul mercato non sono più mute – racconta -, ma sono sempre connesse e perciò iniziano a “parlare”. Dalle temperature alla sicurezza, una grande mole di informazioni arriva nelle aziende produttrici dei macchinari. La vera questione che emerge è: che cosa farne? È una sfida che investe la cultura strategica e organizzativa delle imprese».

Tre modi con cui i dati possono cambiare l’impresa

Sono tre le strategie di risposta che secondo il professor Paiola le aziende stanno mettendo in campo. Il primo, il più prudente, è un atteggiamento reattivo. «È quello adottato dalle imprese che utilizzano le informazioni che acquisiscono per difendere il loro vecchio business model – spiega il docente e ricercatore -. Tipicamente, si usano i dati per proteggere la sfera delle garanzie legate al prodotto, confrontando in modo più dettagliato, proprio grazie ai big data, uso e condizioni di garanzia».

Marco Paiola

Il secondo gradino, più ambizioso, rientra nella categoria “fare meglio quello che già facevi”. «L’esempio più diffuso è quello del perfezionamento dei servizi post-vendita – prosegue Marco Paiola -. Chi vende macchine solitamente ne cura anche l’assistenza. Con il condition monitoring si riesce a prevedere in anticipo quando c’è un’alta probabilità che si verifichi un guasto. Lavorando d’anticipo, si risolve il problema in meno tempo, magari evitando il fermo macchina al cliente».

Il terzo passaggio, quello più ardito, è anche quello che in pochi intraprendono: cambiare radicalmente il modello di business. «Invece di vendere macchine, vendo servizi – chiosa il docente UniPd -. Il vero valore allora non è più il macchinario in sé, ma il know how su come integrarla in modo ottimale nella catena di valore del cliente. Si passa così da un business model basato sulla proprietà a uno basato sull’uso».

Un cambiamento davvero dirompente in alcuni settori. «Chi produce macchine utensili che costano 5 milioni ciascuna, oggi non è interessato ad affittarla per poche decine di migliaia di euro all’anno. In altri ambiti, su macchine di valore minore, il cambiamento sarà più interessante e prenderà piede. Ma per fare questo non bastano i dati: è la cultura strategia e organizzativa dell’azienda che deve cambiare nel profondo. E non tutti oggi sono pronti per farlo».

Photo by Kevin Ku from Pexels

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