Contratti di rete tra imprese: raddoppiati in tre anni a Nord Est

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Sono più che raddoppiati negli ultimi tre anni i contratti di rete tra imprese nel Nord Est: hanno superato la soglia di 4.100 aziende coinvolte. A dirlo è una ricerca del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia, che ha analizzato il fenomeno dei contratti di rete a livello nazionale. Ricerca pubblicata nel volume “Il contratto di rete: caratteristiche, genesi, ed efficacia dello strumento” (Pearson, 2018) a cura di Anna Cabigiosu e Anna Moretti. In collaborazione con Infocamere e RetImpresa (Confindustria), il dipartimento ha dato inoltre vita a un Osservatorio nazionale sulle Reti d’impresa.

Questi contratti mediamente uniscono 15 imprese (con una forte presenza di reti composte da 5-6 realtà), che hanno in media 25 dipendenti ognuna. Quanto durano? In media, nel Nord Est, 1,65 anni, meno della media nazionale che viaggia tra i 2 e i 3. Maggior propensione, in queste regioni rispetto ad altre, a cercare alleanze con imprese di altri settori e altri territori.

Istituito dalla legge n. 33 del 9 aprile 2009, il contratto di rete è uno strumento normativo unico nel suo genere nel panorama internazionale, che consente alle imprese di formalizzare una collaborazione interorganizzativa, lasciando al contempo autonomia a ciascuna, con l’obiettivo di sviluppare sinergie e complementarietà tra partner aziendali per realizzare progetti innovativi, internazionalizzare e crescere sul mercato.

In Veneto il 7,4%% dei contratti di rete

A livello nazionale sono 4.992 i contratti di rete siglati da 30.559 imprese (dati Infocamere, settembre 2018). Di queste 13,5% sono imprese del Nordest e circa il 7,4% del Veneto. Il fenomeno negli ultimi tre anni ha segnato +124% in Italia e sta interessando sempre più ambiti strategici per le imprese, come la trasformazione digitale 4.0 e l’innovazione, l’internazionalizzazione, la promozione territoriale e l’economia circolare.

«Le ultime analisi effettuate mostrano che nel Nord Est, come del resto in Italia, le imprese entrano in rete principalmente per aumentare la propria competitività – spiega Anna Cabigiosu, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio con Anna Moretti -, innovare il prodotto o servizio, innovare processi aziendali, aumentare la propria capacità di penetrare nuovi mercati, in particolare quelli internazionali, partecipare ad appalti e gare, fare massa critica nella relazione con la pubblica amministrazione».

«Dati recenti suggeriscono un miglioramento della performance delle imprese che operano in rete da qualche anno – continua Cabigiosu –. Tuttavia esistono anche casi di contratti attivi ma di fatto “in quiescenza”, in cui le imprese non sono operative in rete, e casi di fallimento in cui la rete non riesce a raggiungere gli obiettivi per cui è stata costituita. Tuttavia i dati ad oggi disponibili rendono difficile lo studio di queste realtà».

Contratti di rete, l’accesso al credito resta difficile

Il tema del credito resta uno dei più problematici, avverte Antonio Proto, docente di Economia degli intermediari finanziari al Dipartimento e membro dell’Osservatorio nazionale: «Sul fronte finanziario uno degli obiettivi di questa tipologia di aggregazione, oltre all’opportunità di utilizzare fondi agevolati, è proprio la costruzione di un’interlocuzione più forte con le banche, con un conseguente miglioramento delle condizioni di accesso al credito. L’appartenenza a una rete può, infatti, tradursi in un miglioramento del rating e delle condizioni economiche per le imprese aderenti e in alcuni casi la rete è analizzata come singola controparte, con l’attribuzione di un “rating di rete”».

Ma dallo studio condotto da Proto emerge come in realtà «l’offerta di servizi dedicati da parte delle principali banche italiane resti oggi limitata a pochi istituti e anche in questi casi sia più potenziale che effettiva, con un utilizzo limitato nonostante il fatto che i contratti di rete possano rappresentare per il sistema creditizio un’opportunità commerciale e un beneficio in termini di contenimento dei rischi».

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