Investimenti Usa, obiettivo per 7 imprenditori veneti su 10

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Secondo 7 imprenditori veneti su 10 il mercato statunitense è il migliore in cui investire i propri capitali. Le motivazioni principali agli investimenti Usa sono un’economia solida e in continua espansione (54%), un sistema fiscale certo e trasparente (52%) e una tassazione vantaggiosa (46%). Tra le preoccupazioni principali che inibiscono gli investimenti all’estero la burocrazia (71%), la scarsa conoscenza del sistema legale (64%) e la lenta ripresa economica (48%).

Un’indagine promossa da K&L Gates Legal Observatory ha preso a campione 50 imprenditori del Veneto proponendo loro un questionario volto a comprendere come le aziende considerano e valutano gli investimenti negli Stati Uniti e se pensano di effettuarne nel futuro. È emerso che, nonostante molti imprenditori non abbiano mai investito nel paese del Nord America (62%) o all’estero (43%), ben 7 su 10 considerano un’operazione negli Usa la migliore opportunità per lo sviluppo della propria azienda (68%) e hanno preso in considerazione la possibilità di farlo in futuro (64%). Ad incoraggiare le aziende verso tale orientamento sono la presenza di un mercato maturo e solido che può contare su quasi 320 milioni di abitanti (54%), un sistema fiscale certo e trasparente che non ammette “furbetti” (52%) sia per quanto riguarda l’import, sia per quanto riguarda l’export, e una tassazione concretamente vantaggiosa per le aziende straniere che vogliono investire in quel paese (46%).

Gli investimenti italiani in Usa e nel mondo

L’indagine è promossa da K&L Gates Legal Observatory, l’osservatorio della sede di Milano dello studio internazionale K&L Gates, ed è condotta in preparazione al convegno “Investire in USA: crescita e opportunità per le imprese”, organizzato dall’American Chamber of Commerce in Italy e K&L Gates in collaborazione con Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Confindustria Emilia Romagna.

«Il primo ostacolo per gli investitori è confrontarsi con un sistema fiscale diverso dal nostro – spiega Vittorio Salvadori di Wiesenhoff, partner della sede milanese dello studio legale internazionale K&L Gates e responsabile del dipartimento di diritto tributario –. Il primo e fondamentale step è valutare le conseguenze fiscali derivanti dalla tipologia d’ingresso che viene effettuata sul mercato statunitense. Il suggerimento è di non andare allo sbaraglio, e rendersi conto che ci si sta affacciando in un mercato diverso che richiede l’assistenza di consulenti esperti per trarre i maggiori vantaggi da questa economia incredibile».

Se Olanda, Giappone e Svizzera sono i tre paesi che hanno flussi maggiori di investimenti Usa, rispettivamente con 29,3 miliardi di euro, 25,4 miliardi e 17,7 miliardi, secondo i dati diffusi dalla Farnesina, l’Italia nel 2014 ha fatto affluire nel mercato americano 2,8 miliardi di euro, con un aumento che sfiora il 50% in più rispetto al 2013. Una tendenza che vede un ritorno dei capitali italiani, oltre che negli Stati Uniti, anche in altre parti del mondo.

Secondo gli esperti, gli altri mercati dove si stanno maggiormente concentrando gli investimenti sono l’Iran, grazie alla revoca delle sanzioni internazionali a seguito dell’accordo sul nucleare del luglio 2015, la Cina, l’India e il Brasile; mercati che, sebbene abbiano progressivamente aumentato la loro redditività, a causa della loro instabilità economica e politica rappresentano ancora territori ad alto rischio per gli investimenti di capitali stranieri.

Investimenti Usa, le difficoltà

Il sondaggio mette in luce anche le criticità maggiori nell’approcciare gli investimenti oltreoceano. In primis le questioni burocratiche (71%), la scarsa conoscenza della tutela legale (64%), la lenta ripresa economica (48%) nonché perplessità circa la possibilità di creare una rete di vendita capillare ed efficace (36%) e la mancanza di banche italiane su cui fare affidamento (29%). Molti degli imprenditori interrogati ritengono però che tali criticità siano controbilanciate da un grande potere d’acquisto delle famiglie statunitensi (65%), dall’affinità di gusti e tendenze tra il mercato italiano e quello d’oltreoceano, in particolare dall’apprezzamento americano per il made in Italy (43%) e da un vastissimo numero di consumatori (41%).

«Dal nostro punto di vista la prima difficoltà per gli investimenti Usa riguarda la poca dimestichezza degli imprenditori con la normativa legale americana, che peraltro non è unitaria ma differisce su base statale oltre a prevedere anche una regolamentazione federale in alcune materie – spiega Arturo Meglio, avvocato partner di K&L Gates esperto in ambito societario –. Si tratta di un sistema molto competitivo che può offrire tante opportunità, ma che fa incontrare anche delle difficoltà oggettive, come le dimensioni notevoli del mercato, la lingua, la scarsa conoscenza del sistema e la difficile gestione organizzativa che richiede un team specializzato di professionisti che segua tutte le fasi». Secondo Meglio, il mercato americano resta comunque particolarmente attrattivo per gli imprenditori e gli stati in cui si decide maggiormente di investire sono quello di New York, la California, la Carolina del Nord e del Sud, il Delaware.

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