Dopo Squinzi: niente nomi di bandiera, per favore

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Fa’ che non sia soltanto un nome di bandiera. Perché le bandiere sventolano, ma non possono raccontare una complessità di esperienze positive, buone prassi, capacità di intraprendere passi concreti verso lo svecchiamento. Né le fatiche, le difficoltà, le esigenze reali di un’impresa “piccola e media” nelle definizioni, iper diversificata nei suoi codici Ateco, da sempre schiacciata da un lato dalle “grandi” e dall’altro dalle “straniere”, cioè da quelle al di fuori delle Tre Venezie. La campagna elettorale è già partita in Confindustria, le cordate per il dopo Squinzi lavorano da tempo e finalmente anche il Nordest pare essersi messo in moto. E sembra che stavolta possa arrivare quell’unitarietà troppe volte mancata in passato. Ora, l’unico rischio è quello di fare una battaglia di facciata, spingere l’ennesimo nome nostrano nella piena consapevolezza che i giochi li deciderà qualcun altro, a Roma o a Milano.

Il miraggio del presidente “made in Veneto”

Così, mentre altri “piccoli grandi” territori ad alta vocazione imprenditoriale – si pensi all’Emilia del presidente nazionale di Federmeccanica Fabio Storchi – hanno trovato nel tempo il modo di far ascoltare la propria voce, il Veneto e il Nordest in Confindustria hanno preferito la bandiera, il candidato alla presidenza “made in Veneto” e, alla fine, si sono sempre dovuti accontentare del piccolo scranno, della vicepresidenza, della scarsa voce in capitolo. Ruoli anche di prestigio, occupati spesso da imprenditori di indiscutibile eccellenza. Ma sempre con la sensazione di essere dei marziani catapultati in viale dell’Astronomia, senza rete, senza equipaggio.

La corsa alla presidenza nazionale nella Confindustria del dopo Squinzi è un’occasione che il Nordest – che il Veneto – non può sprecare in nome della solita bandiera. Rincuorano, dunque, i risultati dei primi incontri tra i presidenti delle territoriali di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, che per una volta fanno intuire un cambio di direzione: niente nomi di bandiera – l’unico trapelato pare essere quello di Alberto Baban, attuale presidente della nazionale della Piccola Industria, che con il consenso e i fatti raccolti in questi anni è il simbolo di un Veneto che sa giocare al tavolo dei grandi – e focus sui progetti.

Tessere la rete dei territori

Ma forse ora è il momento di fare una cosa un più. Qualcosa in cui una volta eravamo piuttosto bravi: costruire. Costruire una rete con gli altri piccoli. Cercare il dialogo e un programma condiviso con i territori più prossimi: fisicamente (per esempio le territoriali lombarde che soffrono la potenza della milanese Assolombarda) o nel tessuto imprenditoriale: le Marche, la Puglia, l’Emilia Romagna. Fare rete tra i piccoli. Mostrare che una riforma del carrozzone è possibile: l’esperienza di rete tra Padova, Vicenza e Treviso è solo uno degli esempi di una Confindustria meno ministeriale e più capace di mettere le proprie competenze ed eccellenze a servizio di un territorio vasto. Ripartire dal Nordest è possibile. Ma il Nordest ci crede davvero?

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