Comparto caseario, l'innovazione che non ti aspetti

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Limitata proiezione internazionale – derivata principalmente da un volume di produzione “tarato” a coprire il mercato interno, con possibilità di crescita qualora si sappia coniugare apertura ai mercati esteri e specificità territoriale – ma allo stesso tempo un’intensa propensione all’innovazione di prodotto e di processo per migliorare la qualità e il legame con i clienti che ha consentito al settore di raggiungere risultati di crescita dei ricavi per negli anni della crisi. È questo il “ritratto” del comparto lattiero-caseario a Nord Est che emerge dal rapporto di FriulAdria Crédit Agricole e Fondazione Nord Est.

“Il quadro che emerge dall’indagine realizzata con FriulAdria Crédit Agricole mostra un comparto dinamico e orientato a uno sviluppo ancora molto locale – osserva il presidente di Fondazione Nord Est Francesco Peghin -. Grande pragmatismo rispetto all’internazionalizzazione – che potrebbe però riservare grandi soddisfazioni se le aziende del settore decidessero di investire in un’offerta che coniughi specificità locali, cultura del Made in Italy e qualità – e un solido legame con il territorio sono gli elementi che caratterizzano il lattiero-caseario e che si confermano come le possibili strategie per ampliare lo sviluppo di un settore che già oggi evidenzia segnali positivi”.

“L’indagine conoscitiva che abbiamo promosso e affidato a Fondazione Nord Est integra il nuovo modello di servizio lanciato dal nostro Gruppo per le filiere del latte e della carne, che nel 2013 ci ha portato a fare quasi 23 milioni di nuovi impieghi alle aziende del Friuli Venezia Giulia e del Veneto – ha dichiarato il direttore generale di FriulAdria Crédit Agricole Carlo Crosara – Sempre in un’ottica di promozione del settore, vera eccellenza del made in Italy, abbiamo scelto di promuovere la prima guida ai formaggi italiani, una vetrina soprattutto per il Veneto che conta il maggior numero di prodotti a denominazione di origine controllata e vanta una elevata qualità della produzione”.

Concorrenza regionale, limitata internazionalizzazione

Le imprese del settore – che puntano più sulla qualità del prodotto che su tracciabilità, prezzo e unicità – hanno una concorrenza soprattutto regionale (53,3%), mentre solo per il 23,3% l’ambito si apre al territorio italiano e solo l’1,7% ha uno sguardo internazionale. Un dato che deriva direttamente dal livello (basso) di apertura internazionale: le imprese interpellate realizzano la quota prevalente del proprio fatturato (90%) sul mercato nazionale, con una esposizione leggermente più alta sui mercati internazionali del comparto derivati del latte, che realizza il 13,3% del fatturato in ambito UE e il 6,1% nei mercati non comunitari.

Nel complesso solo un terzo delle imprese dichiara di intrattenere rapporti con i mercati esteri e – dato forse più rilevante – solo il 33,3% di quanti non hanno attualmente rapporti con l’estero prospetta una possibile apertura, mentre solo il 4,8% dichiara di aver già in atto progetti concreti di internazionalizzazione. Numeri significativi, se si considera la progressiva diminuzione dei consumi interni, anche alimentari.

Per chi l’ha creata, la principale relazione con i mercati internazionali è di semplice vendita di prodotti (53,2%), mentre una quota minoritaria di imprese è presente all’estero con una propria struttura commerciale sia essa una rete di agenti (4,8%) o una filiale commerciale (4,8%). La fase di produzione rimane, invece, interamente vincolata al territorio anche in ragione della particolare tipologia di prodotto.

“Questa tipologia di internazionalizzazione – osserva Silvia Oliva, segretario alla ricerca di Fondazione Nord Est – appare del tutto coerente con un settore la cui produzione è fortemente legata alle specificità dei territori e al made in Italy in generale. Tuttavia mette in luce come sia ancora poco sviluppata una presenza più qualificata e strutturata sul fronte del presidio dei mercati, anche attraverso nuove forme distributive”.

D’altra parte i fattori che frenano l’attrazione verso i mercati esteri sono molteplici, in primis la normativa sulle produzioni e il protezionismo (17,7%), un costo logistico rilevante per la necessità di garantire la freschezza e la salvaguardia dei prodotti (16,1%), la concorrenza estera sui costi (12,9%) e la burocrazia (11,3%), ma anche la mancanza di un’adeguata promozione dei prodotti Made in Italy (9,7%) e la difficoltà specifica della vendita all’estero di prodotti freschi (8,1%).

Senza contare che tra quanti dichiarano di non progettare un’apertura ai mercati esteri emerge spesso il limite quantitativo della produzione, sufficiente a soddisfare solo le esigenze del mercato italiano. Mercato interno che, agli occhi delle imprese (78,7%), rimarrà il focus dell’interesse nel prossimo triennio.

Distribuzione a marchio e pochissimo e-commerce

Nel comparto lattiero-caseario a Nord Est l’83,4% dei prodotti è distribuito con marchio proprio, il 12% con marchi di terzi per la GDO. La quota più rilevante del fatturato (31,5%) è però realizzata nel commercio all’ingrosso, mentre la GDO vale il 23,4% e il dettaglio tradizionale il 22,8%. La vendita diretta al consumatore finale conta il 14,6% del valore.

Tra le imprese che vendono i loro prodotti ai consumatori finali il canale di vendita privilegiato (33,9%) è il negozio aziendale (spaccio o simili). Modesta la vendita online (4,8%) che tuttavia è in linea con il complesso del manifatturiero nazionale.

Innovazione e organizzazione per competere

Un ulteriore elemento che descrive le strategie competitive delle imprese lattiero-caseario è costituito dalle scelte di innovazione. Nel 2013, due imprese su cinque hanno progettato nuovi investimenti, mentre il 22,9% delle imprese non ha realizzato alcuna innovazione. A queste si aggiunge un terzo di aziende che ha scelto di mantenere costante l’impegno intrapreso. Il settore, quindi, è percorso da una forte spinta innovativa che nell’ultimo triennio si è concretizzata per il 56,5% delle imprese in innovazione di prodotto e per il 50% in innovazione di processo.

Le imprese del settore appaiono fortemente strutturate, con la presenza di funzioni non solo produttive ma anche terziarie legate al marketing e comunicazione e alla gestione delle tecnologie (hardware e software), così come quelle specificatamente dedicate alla qualità/certificazione.

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