Metà manifatturiero rivede la luce in fondo al tunnel

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Operano in settori maturi. Hanno dimensione medio/grande e fortissima apertura verso l’estero. Si distinguono per alto livello di organizzazione aziendale e propensione all’innovazione. Ma anche al “far da sé”. Sono le “medie dominanti”, le imprese che stanno uscendo prima e meglio di altri dalla crisi. Se nel 2011 il 52,9% del Made in Padova manifatturiero era tornato su ricavi superiori ai livelli pre-crisi, la percentuale sale al 69,1% tra le imprese di questo gruppo. La variazione media del fatturato nei bilanci 2008-2011, il quadriennio centrale della crisi, è positiva: +3,5% (rispetto allo 0,7% medio), anche se si evidenzia una variazione negativa della redditività totale.

All’estremo opposto, sono le “piccole local” quelle che più hanno sofferto e che con maggiore fatica sono impegnate nella risalita. Sono microimprese (1/3 sotto i dieci addetti), in gran parte sotto i 2 milioni di euro di fatturato, dipendenti dal mercato interno o esportatrici occasionali, più propense (in virtù dei limiti dimensionali) a strategie di networking. Solo il 35% evidenziava, nel bilancio 2011, ricavi superiori a quelli del 2008. La variazione media dei ricavi nel periodo considerato è la più negativa: -6,2%. A metà fra gli opposti stanno le “esploratrici solitarie”, imprese tra 10 e 49 addetti, con moderata apertura ai mercati e all’innovazione, buona struttura organizzativa, scarsa (o nulla) disponibilità alle reti, e le “medie peer-to-peer”, aziende con medio-alta propensione all’export, innovatrici e saldamente organizzate, disponibili allo scambio di opportunità in rete o filiera. Tra le prime la quota di imprese che nel bilancio 2011 ha ricavi superiori a quelli pre-crisi è maggioritaria (56%). La variazione media nel quadriennio è positiva: +1,3%. Nell’ultimo gruppo, infine, meno della metà (45,6%) è tornata nel 2011 sopra i livelli pre-crisi, la variazione media dei ricavi nel periodo è negativa: -1,6%.

Focus Industria. Le strategie del manifatturiero in tempo di crisi e le performance di successo

È quanto emerge dalla ricerca “Focus Industria. Le strategie del manifatturiero in tempo di crisi e le performance di successo” realizzata da Confindustria Padova e Fondazione Nord Est su un campione di 356 imprese manifatturiere, rappresentativo (per settori e dimensione) dell’intero comparto. A cinque anni dall’inizio della Grande Crisi la ricerca, presentata oggi a Padova, ha scandagliato per la prima volta la mutazione del manifatturiero, le strategie e le prassi aziendali più diffuse in tema di internazionalizzazione, organizzazione aziendale, innovazione e aggregazione. Ne emergono quattro profili omogenei di imprese, con caratteristiche distintive e diverse performance (ricavi, redditività, liquidità) negli anni della crisi. L’analisi dei bilanci dal 2008 al 2011 mostra la stretta relazione tra strategie e risultati e la diversa velocità di uscita dalla crisi. Apertura e presidio diretto dei mercati, integrazione nelle filiere globali del valore, efficienza organizzativa e investimenti in innovazione, oltre al controllo dei costi, sono il bouquet di strategie che definiscono l’identikit delle Pmi “vincenti” davanti alla recessione.

Pavin: manifatturiero provato, ma rimane il nostro petrolio

«La ricerca restituisce il profilo di un manifatturiero provato dalla crisi, ma capace di reagire e creare valore attraverso un bouquet di strategie – dichiara Massimo Pavin, presidente di Confindustria Padova -. Il dato più rilevante è che si allarga la forbice tra le imprese che sono riuscite a mantenere buone performance grazie a riorganizzazioni interne, contenuto tecnologico dei prodotti, capacità di internazionalizzarsi, e quelle che non essendo in grado di intraprendere questi percorsi, sono rimaste “intrappolate” nel crollo della domanda interna, nella spirale negativa di tempi di pagamento e credit crunch. Individuare i tratti distintivi delle eccellenze e socializzarli significa dare modelli o spunti per ripensare il proprio modello di business».

«La manifattura è il nostro petrolio – insiste Pavin – pesa il 27% del Pil regionale, il doppio con l’indotto. Non possiamo permetterci di perdere altra capacità produttiva. Tocca prima di tutto agli imprenditori innescare lo sviluppo, ma serve uno sforzo ossessivo sia del Governo sia della Regione per rilanciare la manifattura. Un taglio del cuneo fiscale che abbia davvero un effetto espansivo sull’economia dev’essere dell’ordine di dieci miliardi: si irrobustisca la dote per il cuneo, anche con lo stop all’abolizione della seconda rata Imu. Urge uno sforzo straordinario della Regione, anche tramite la futura programmazione dei fondi strutturali e risorse proprie. Occorre cercare di cogliere tutte le opportunità, a cominciare dal commercio estero. Basta con la balcanizzazione di risorse nei rivoli di associazioni, Camere di Commercio e aziende speciali di ogni provincia. Va concentrato ogni sforzo su scala regionale, in un unico fondo con la regia della Regione, per produrre valore tangibile e radicare il maggior numero di Pmi nelle aree di nuovo sviluppo».

Marini: innovare a 360 gradi, aprirsi ai mercati esteri, fare rete

«I risultati della ricerca – afferma Daniele Marini, direttore scientifico Fondazione Nord Est e Università di Padova – ci dicono chiaramente che, se è vero che non esistono più ricette valide per tutti, ci sono però indicazioni di tendenza di cui le imprese oggi non possono non tenere conto, guardando proprio a quelle realtà che, nonostante la crisi, ce la fanno e riescono a crescere. Tre su tutte: sostenere i processi di innovazione a 360 gradi, quindi non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche organizzativo, delle filiere e delle competenze. Quindi aprirsi sempre di più e in maniera radicale ai mercati esteri perché, complice una domanda interna che resterà piatta, bisogna guardare oltre l’Italia e l’Europa. In questo senso la ricerca dimostra che chi più innova più internazionalizza, e viceversa. Il terzo elemento è la necessità, soprattutto per le aziende più piccole, di strutturare relazioni più intense e stabili con altre imprese: reti, accordi informali, joint venture. Il mix di indicazioni emerse è già una buona premessa per immaginare e accompagnare al meglio la difficile risalita».

Medie lepri e passiste solitarie: i quattro cluster (e velocità) del Made in Padova

Dall’analisi di strategie e prassi aziendali più diffuse in tema di organizzazione, apertura ai mercati, investimenti in innovazione e propensione alle aggregazioni, affiorano gli identikit di quattro cluster di imprese con caratteristiche distintive e diverse capacità di reazione e velocità di uscita dalla crisi. Distribuiti in modo pressochè uguale nel manifatturiero padovano.

“Medie dominanti”

Sono le lepri manifatturiere, rappresentano il 19,6% del totale. Appartengono in prevalenza al metalmeccanico (40%) e ad altri settori tipici del Made in Italy (gomma-plastica, alimentare). Sono medie aziende con oltre 50 addetti (l’87%); il 63% ha un fatturato superiore ai 25 milioni di euro (il 26,3% sopra i 50 milioni). Sono tutte molto integrate nei mercati internazionali (il 56,1% colloca all’estero più di metà del fatturato), 1/3 anche con proprie sedi commerciali o produttive. Hanno solidi assetti organizzativi e gestionali. Sono forti innovatrici, con investimenti dedicati negli ultimi due anni ad attività di ricerca e sviluppo in azienda, impianti e macchinari, automazione del processo produttivo, nel 32,1% dei casi in collaborazione con le università. Prediligono il “far da sé”: nessuna delle “medie dominanti” ha sperimentato il lavoro in rete o aggregazione o intende farlo.

“Esploratrici solitarie”

Sono il cluster più diffuso (36,4%), fatto in prevalenza (41,5%) da imprese con 20-49 addetti e un fatturato tra i 2 e i 25 milioni. Appartengono al metalmeccanico (43%) seguito da alimentari e bevande (10%), chimica (9%). Quasi il 60% opera sui mercati esteri, il 18,9% anche con sedi commerciali o produttive. Oltre il 70% ha realizzato almeno un investimento in innovazione negli ultimi due anni, in ricerca e sviluppo, impianti, produzione, ricorrendo all’autofinanziamento (54,6%) o al credito bancario. Il 60,6% non collabora con soggetti esterni per l’innovazione, il 16,2% lo fa con le università. Sono imprese con buona o alta organizzazione interna. La propensione delle “esploratrici solitarie” a lavorare con altre imprese è però molto bassa: nessuna ha finora sperimentato forme di aggregazione e solo il 3,8% è interessata a farlo. Ma la proiezione sui mercati esteri potrebbe in futuro modificare questa attitudine.

“Medie peer-to-peer”

Un’impresa su quattro (25,4%) appartiene a questo cluster. L’83,7% è distribuito equamente nelle classi 20-49 e più di 50 addetti, il 46% fattura più di dieci milioni. Sono in larga prevalenza metalmeccaniche (83,7%). Medie esportatrici (41,9%) o più intensamente internazionalizzate (32,4%), solo il 6,8% ha mercato solo interno. Hanno un alto livello di organizzazione e certificazioni di varia natura. Il 60,8% ha forte propensione all’innovazione, realizzata in eguale misura con risorse interne o collaborazioni esterne (nel 17% dei casi con l’università). Tra le fonti di finanziamento dell’innovazione spiccano agevolazioni e incentivi pubblici (47,9%). Il 36,5% fa parte di aggregazioni e usa i network, quasi tutte le altre sono interessate a farlo, disponibili a prendere il meglio delle opportunità di filiera, ma anche a scambiare quanto offre la propria posizione sul mercato, in una logica peer-to-peer (cioè di scambio).

“Piccole local”

Sono le più provate dalla crisi e in affanno nella risalita. Rappresentano il 18,6% del totale. Sono piccole o microimprese (79,6% sotto i 20 addetti, 1/3 sotto i 10), quasi il 60% fattura meno di 2 milioni di euro. Sono per metà imprese metalmeccaniche o di altri settori del Made in Italy come il legno-arredo (13%). Più della metà dipende esclusivamente dal mercato interno, si dichiarano non internazionalizzate (51,9%) o esportatrici occasionali (37%). Tuttavia denotano un buon livello di organizzazione aziendale e di propensione all’innovazione (il 61,1% ha realizzato almeno un’innovazione di prodotto o processo negli ultimi due anni). Le “piccole local” hanno una forte propensione al networking: il 46,3% già partecipa a forme di aggregazione, tutte le altre sono disponibili a sperimentare business network di filiera o a realizzare fusioni/aggregazioni.

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