Imprese cinesi, +20% in dieci anni. E i figli preferiscono lavorare con gli italiani

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Il Veneto con gli occhi a mandorla è cresciuto a ritmi vorticosi, nonostante la crisi: +20% è il dato dell’incremento del numero di imprese venete i cui titolari hanno nazionalità cinese, fra il 2008 e il 2018. Un boom che risalta ancora di più se messo a confronto con la parallela diminuzione (-4%) del numero di imprese a guida italiana nel territorio regionale. Ma pensare a una comunità chiusa e separata, come vuole lo stereotipo, sarebbe fuorviante: «La seconda generazione preferisce uscire dalla nicchia etnica del mercato del lavoro impostata dai genitori, perché ritengono che i titolari italiani forniscano condizioni migliori» afferma il ricercatore Maurizio Rasera al Mattino di Padova.

Rasera, ricercatore dell’agenzia regionale Veneto Lavoro, ha curato insieme a Devi Sacchetto, docente di sociologia del lavoro all’Università di Padova, il libro “Cinesi tra le maglie del lavoro” (Franco Angeli), frutto di una collaborazione fra Veneto Lavoro (sul cui sito si possono trovare alcune interessanti slide che toccano alcuni punti approfonditi nel volume), Università di Padova e Università Ca’ Foscari di Venezia.

Nel decennio preso in considerazione, l’occupazione cinese in Veneto è cresciuta di quasi duemila unità (+38%): in regione risiedono 35 mila cinesi, il 12% del totale nazionale, e quasi la metà di loro ha meno di 30 anni. La spinta a entrare nel mercato del lavoro che “parla italiano” risale già a qualche anno fa, specifica Sacchetto sempre al Mattino: «Un terzo dei lavoratori cinesi era impiegato da titolari italiani fino all’arrivo della crisi, nel 2008, quando il 20% di loro è tornato a lavorare per titolari cinesi: una sorta di delocalizzazione di prossimità».

È nel settore tessile che si registra la maggiore concentrazione di imprese cinesi. Nel 2014 erano 1.146 su un totale di 4.070 attive nella regione. Treviso è la provincia con la maggiore presenza cinese (8.400 unità), seguita da Padova (8 mila) e Rovigo. C’è poi il caso isolato di Lozzo di Cadore, in provincia di Belluno, dove l’incidenza dei cinesi sul totale degli stranieri arriva al 57%, ascesa motivata dall’impiego nelle aziende dell’occhialeria.

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