Welfare aziendale, in un saggio modelli e vantaggi per le imprese

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Il welfare aziendale si sta imponendo come una delle tendenze economiche più importanti per quelle imprese che cercano strade nuove per uscire dalla crisi: è in fondo una forma di salario non monetario, che viene versato sotto forma di servizi, dall’asilo aziendale ai buoni per gli acquisti di benzina o altri beni, fino ai contributi per le spese scolastiche o sanitarie. In tempi di obbligata moderazione salariale, permette alle imprese di versare parte del salario risparmiando su tasse e contributi. Ma non solo: migliora lo stile di vita dei dipendenti con una conciliazione più flessibile fra tempi di vita e di lavoro, accresce il senso di comunità, nel caso dello smart working limita l’impatto sull’ambiente del pendolarismo casa-azienda.

Il 2016 può essere a buon titolo considerato l’anno di svolta per questa pratica in Italia. La Legge di Stabilità 2016 ha infatti introdotto la detassazione totale, entro certi limiti di spesa, del premio aziendale usufruito tramite servizi, quando questo è collegato ad un obbligatorio accordo sindacale a livello aziendale o territoriale.

Una guida agile e completa al welfare aziendale è uscita con grande tempismo: L’evoluzione del welfare aziendale in Italia (Guerini Next, 2016, 165 pagine) a cura di Filippo Di Nardo ha due meriti. Il primo è quello di fornire un’introduzione al tema, a partire dal contesto storico – il “dimagrimento” dello Stato sociale tradizionale ma anche del tradizionale concetto di famiglia – per arrivare al micro-cosmo delle aziende – contrazione delle risorse economiche, alto costo del lavoro e bassa produttività –, un contesto che richiede appunto soluzioni nuove per uscire dallo stallo.

Il secondo merito del libro è quello di scattare una fotografia molto aggiornata sulla geografia, ancora a macchia di leopardo, delle esperienze di welfare aziendale in Italia, attraverso i risultati di una ricerca del 2016 a cura di Doxa per Edenred Italia. Un campione di 302 aziende (il 20% delle quali del Nordest) e 800 lavoratori (il 19% a Nordest) hanno risposto alle domande sulla loro esperienza di welfare.

In Veneto molte aziende – da Luxottica a Bottega Veneta, da Cav a Colorificio San Marco, da Nice a Gruppo Carel solo per citare quelle di cui abbiamo scritto di recente – hanno avviato programmi in questo senso. Intanto, sulla spinta della Legge di Stabilità 2016, si moltiplicano gli accordi territoriali fra associazioni di categoria e sindacati: ad esempio a Padova fra Confindustria e Cgil Cisl e Uil, in tutto il Veneto fra Confapi e sindacati, per i metalmeccanici artigiani con l’accordo fra Confartigianato, Fim Cisl e Uilm Uil.

Come ben sintetizza Filippo Di Nardo, le novità legislative portano al «superamento di una concezione “paternalistica” basata essenzialmente sulla scelta unilaterale da parte delle imprese di sviluppare iniziative e piani di welfare senza accordo formale con i dipendenti e i sindacati». Il passaggio legislativo «segna l’approdo a un modello di welfare aziendale fondato su due gambe, entrambe con pari dignità: la contrattazione collettiva aziendale e la scelta unilaterale».

Ma, come emerge dalla ricerca, oggi l’identikit dell’azienda che tipicamente oggi attua questa forma di retribuzione complementare è una multinazionale (o comunque di proprietà estera), di dimensioni medio-grandi (sopra i 250 dipendenti) che opera nel comparto industriale. La sfida, nei prossimi anni, è quella di estendere il modello alle piccole e medie imprese che rappresentano la spina dorsale del sistema produttivo italiano e in particolare veneto.

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