Smart Unipd, l'Ateneo si "apre" alle imprese

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Si scrive Smart Unipd, si legge “terza missione”. Ovvero come trasferire al meglio la ricerca e più in generale la conoscenza universitaria al territorio, al mondo imprenditoriale. Un ultimo miglio che ancora troppo spesso si fa fatica a percorrere. Se ne sono accorti anche nell’Ateneo Patavino: per questo è nata Smart Unipd, società costituita il 28 aprile 2015, completamente controllata dall’Università, che punta proprio a concretizzare quella terza missione di cui si parlava. Non solo, l’idea è di mettere a sistema le eccellenze che già esistono nel territorio. Una missione che però non ha quell’elemento fideistico che la parola richiama: alla base ci sono dati ben solidi. Come il primo posto dell’Ateneo patavino nella Valutazione della Qualità della Ricerca, frutto del lavoro di 2.100 fra professori e ricercatori, 2.300 assegnisti e dottorandi, dislocati in 32 dipartimenti, 150 laboratori di ricerca, 41 centri ad hoc.

Smart Unipd: ricerca, un capitale da sfruttare

Un capitale, quello della conoscenza, ancora troppo poco sfruttato. Da un lato la poca capacità dell’ambiente universitario nel raccontarsi, nel vendersi. Dall’altro la poca ricettività delle imprese del territorio, spesso piccole e magari colpite dalla sindrome di San Tommaso, in altre parole “se non vedo la ricaduta pratica della ricerca, non credo”. Una tendenza figlia anche di una mancanza culturale del Paese, che troppo spesso vede i mondi imprenditoriali e accademico camminare su strade parallele, senza mai incontrarsi. All’incrocio punta Smart Unipd, che ha come amministratore unico Lucio Antonello. Gli ambiti sono tanti, snocciolati fedelmente da Fabrizio Dughiero, prorettore con delega al Trasferimento Tecnologico dell’Ateneo patavino: laboratori e competenze messi a disposizione delle aziende, così come il patrimonio di brevetti universitario (230, con un incremento di circa 30 ogni anno). Oppure lo sviluppo di idee accademiche pronte a diventare startup, o magari aiutare già startup e spinoff universitari («non possiamo pretendere che ottimi ricercatori siano anche degli ottimi imprenditori» racconta Dughiero), job training di natura tecnica per manager e tecnici svolti sul posto, direttamente in azienda. «Abbiamo pensato di avvicinarsi alle aziende – spiega Dughiero – diventando a nostra volta impresa. Smart Unipd è un po’ la nostra startup. Siamo il più grosso centro di ricerca e sviluppo del Triveneto. Ci siamo domandati: perché non vogliamo metterlo a disposizione delle aziende? Vogliamo portarci al livello delle aziende: l’Università di Padova come impresa può parlare con imprese, abbattendo burocrazia, avendo un rapporto diretto e focus sui risultati».

Ora arriva un altro momento cruciale: dall’amministratore unico si passerà a costruire la squadra: è in arrivo il bando per il Direttore, e si punta ad un advisory board di alto livello, rappresentanza di aziende e di Ateneo. C’è infine l’aspetto di gioco di squadra del territorio, ovvero la Smart community: associazioni, banche, finanza, imprese, studi tutti assieme appassionatamente verso l’innovazione. E chi ci sta? Avrà il diritto, per esempio, di prelazione su acquisto, licensing, e contratti di royalties sui brevetti. La benedizione arriva da una top manager, Isabella Chiodi (Ibm), che siede anche in giunta di Confindustria Padova. «Mi fa molto piacere vedere l’Università in cui mi sono laureata fare questo passo – spiega – oltretutto un progetto ambizioso, valido. So quanto possa voler dire avere un interlocutore del genere per le nostre aziende. Spesso sono Pmi che magari faticano da un lato ad aver chiaro le proprie esigenze, dall’altro ad orientarsi nell’ampia offerta d’Ateneo».

Smart Unipd, Rizzuto: “Abbiamo ricerche tre passi avanti rispetto la media”

Un obiettivo ambizioso, ma è proprio Rosario Rizzuto, Rettore dell’Università di Padova, a dare l’idea di quanto non solo sia alto il potenziale della ricerca che esce dall’Ateneo patavino, ma di quanto possa “ricadere” sul territorio. «La nostra Università – ha già detto in più occasioni – fatte le debite proporzioni, pesa di più sulla città di quanto Harvard o il Massachusetts Institute of Technology (Mit) incidano su Boston». Risultati ancora troppo “invisibili” rispetto al loro valore. «Da parte nostra – continua Rizzuto – dobbiamo imparare a dare maggiore visibilità ai nostri risultati che, senza falsa modestia, non sono di certo inferiori a quelli di tanti Atenei che a livello internazionale sono considerati all’avanguardia per brevetti e idee. Da loro abbiamo invece una cosa fondamentale da imitare: imparare a comunicare la nostra ricerca, a sottolinearne i risvolti applicativi, a far sì, in altre parole, che sia attrattiva per il mondo imprenditoriale. Purtroppo in pochi sul territorio sanno che cosa si fa concretamente in università. Eppure qui ci sono ricerche che sono non uno, ma due e anche tre passi avanti rispetto alla tecnologia in circolazione».

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