Agriturismi: allarme dei ristoratori sulle norme "light"

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«Se passa questa norma si spezza, di fatto, il legame tra quanto coltivato nell’azienda agricola e quando proposto al consumatore che siede al tavolo dell’agriturismo». Alzano gli scudi i titolari dei ristoratori vicentini, che richiedono, tramite Fipe-Confcommercio provinciale vicentina e veneta, di ritirare le disposizioni dell’articolo 7 del progetto di legge regionale n. 109 “Legge di stabilità”, che a detta loro rischierebbe di snaturare il vero ruolo degli agriturismi, mettendo allo stesso tempo in difficoltà un settore, quello della ristorazione, che rappresenta un asset fondamentale del turismo veneto.

Si potranno vendere cibi non coltivati in loco

La norma infatti abbassa – a determinate condizioni – dal 65 al 50% la soglia di prodotti propri che l’agriturismo può proporre ai clienti. Verranno inoltre considerati come provenienti dall’azienda agricola che gestisce l’agriturismo anche i prodotti acquistati da cooperative agricole a cui l’impresa eventualmente aderisce, ma che non produce direttamente.

«Paradossalmente – afferma Emanuele Canetti, presidente dell’Associazione provinciale Ristoratori di Confcommercio Vicenza – potremmo ritrovarci a mangiare le vongole del Polesine in un agriturismo di Asiago o l’asparago di Bibione in un agriturismo di Bassano. Mi devono a questo punto spiegare dove sta la differenza tra queste attività e quelle della ristorazione tradizionale».

“No alla concorrenza sleale”

L’allarme dei ristoratori vicentini si focalizza sul fatto che gli agriturismi godono di regole e imposte agevolate perché l’attività di somministrazione è complementare a quella principale agricola. I ristoranti, invece, non hanno benefici di questo tipo e devono sottostare a diverse norme sanitarie, fiscali e contributive. «È una questione di equità – aggiunge il presidente Canetti – chi si rivolge allo stesso mercato dovrebbe essere sottoposto alle stesse regole, altrimenti si legalizza una concorrenza sleale».

Samuele Marchi

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