Rientro di capitali: se le garanzie minano la lotta al riciclaggio

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*Avvocato Giovanni Borgna
Studio Legale Borgna
Trieste – Venezia – Padova – Milano

Il tema del rientro di capitali illecitamente trasferiti all’estero rappresenta un topos ricorrente di quasi ogni legislatura repubblicana.
Luogo tradizionalmente d’elezione della permanenza, più o meno lunga, di tali fondi è la Svizzera, che ha fatto della sua neutralità (rispetto alla provenienza dei capitali) il proprio punto di forza, assieme al correlativo segreto bancario.

Con l’inizio del corrente periodo di crisi economica e finanziaria, però, i diversi governi europei si sono prodigati in un pressing crescente sulla confederazione elvetica, al fine di permettere il rientro delle somme trasferite illecitamente, operando su di esse un prelievo fiscale ex post.

Se l’accordo con la Svizzera sembra essere facilmente raggiungibile, anche osservando i patti già stipulati da altri Paesi europei, il tema principale è trovare un meccanismo amministrativo e legislativo capace di invogliare i titolari dei fondi ad operare il rientro.

La battaglia, però, non si giocherà (o almeno non solo) sulle fee da versare all’erario e, sul punto, non sembrerebbe nemmeno necessaria la predisposizione di un “veicolo” speciale per operare tale rientro, esistendo la possibilità della voluntary disclosure (la c.d. autodenuncia), ove non siano già iniziati verifiche o accessi da parte dell’ADE. Naturalmente la predisposizione, attraverso uno strumento legislativo ad hoc, di una riduzione delle sanzioni previste aumenterebbe l’appeal di una simile iniziativa.

Il tema centrale sarà, infatti, quello dell’eliminazione delle conseguenza penali del rientro dei sopra ricordati capitali.

Sembra, infatti, improbabile che qualcuno possa procedere al rimpatrio di capitali trasferiti illecitamente sapendo di poter essere incriminato, ad esempio, per il reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 del d.lgs. 74/2000, o per riciclaggio (art. 648bis c.p.) o per impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648ter c.p.), solo per citare le fattispecie criminose più facilmente ipotizzabili.

Alla minaccia penale, inoltre, si aggiunge l’obbligatorietà della confisca per equivalente (e del sequestro preventivo ai fini della confisca, ex art. 321 c.p.p.), per tutti i reati tributari, oltre che per quelli in tema di riciclaggio, la quale potrebbe portare ad una totale vanificazione del tentativo di rimpatrio.

Appare, quindi, indispensabile la previsione di uno strumento legislativo che preveda una sostanziale impunità penale, per coloro che scelgono di far rientrare i capitali nel nostro Paese.

Una simile scelta, anche se assolutamente comprensibile dal punto di vista delle regioni di bilancio, non andrebbe, però, esente da critiche.

Potrebbero, infatti, sorgere, da un lato, problemi di costituzionalità della legge, la quale garantirebbe un’impunità temporanea e selettiva (sia per quanto concerne la platea dei soggetti interessati, sia per la limitata provenienza geografica dei capitali) per una serie di reati, peraltro di una certa rilevanza.

Dall’altro lato, infine, uno strumento del genere si presterebbe facilmente ad una serie di abusi. Appare, infatti, facile immaginare l’ipotesi di denari derivanti da attività illecite (traffico della droga, armi, prostituzione), che vengono completamente “ripuliti” attraverso la dichiarazione ex post di imprenditori conniventi, con la sicurezza dell’impunità per i reati che hanno generato tali profitti.

Non sembra, allo stato, semplice individuare una soluzione di compromesso che sia interessante per chi possiede capitali in Svizzera, senza prestarsi a possibili abusi di una certa gravità.

Di certo indispensabile potrebbe essere la collaborazione delle autorità svizzere che, ove fornissero dettagliate informazioni in merito alla titolarità dei conti ed alla provenienza dei versamenti, potrebbero permettere di escludere, o almeno di cercare di escludere, il rimpatrio di capitali provenienti da attività esclusivamente illecite.

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