Impresa in cerca d'identità: il Rapporto Fondazione Nord Est

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La vera forza del Nord Est che cerca di battere la crisi sta nella sua natura di Giano bifronte. Da un lato è rivolto a un futuro che è già presente: nelle imprese proiettate nella globalizzazione, nelle esperienze di welfare avanzato, nello sviluppo di reti culturali. Dall’altro tiene lo sguardo fermo su un passato che è rassicurante, nonostante trovi forma nelle imprese che non innovano, chiuse alla contaminazione con altre risorse finanziarie e manageriali, nelle visioni localistiche dello sviluppo economico, nella resistenza alle forme dell’integrazione, nella vischiosità del governo dell’integrazione culturale.

È in questa sintesi socio-economica che il XIV Rapporto sulla Società e l’Economia – Nord Est 2013 fotografa una nebulosa in cerca di una identità nuova, in cerca di un progetto capace di tenere in equilibrio queste due vision. Scorrendo i numeri del rapporto della Fondazione Nord Est curato da Daniele Marini – realizzato in collaborazione con Cassa di Risparmio del Veneto (Gruppo IntesaSanpaolo) – si scorge il ritratto in chiaroscuro di un territorio per il quale «la traversata che deve compiere è complicata e prefigurare il futuro è, se possibile, ancora più complesso. Nessuno è in grado di fare previsioni realistiche su ciò che potrà accadere». Perché dopo un lustro di crisi globale la rivoluzione non è ancora compiuta e il sistema socio-economico si trova in uno scenario «senza modelli di riferimento e paradossale. Ma con grandi opportunità che si stanno dischiudendo, via via che si prende confidenza con il nuovo ambiente».Servono però nuovi codici e un «cambiamento culturale», un modo diverso di analizzare e considerare la realtà e le prospettive. È dunque tempo di una «innovazione radicale» – per dirla con le parole del presidente di Fondazione Nord Est Francesco Peghin – perché non si è riassestato solo il sistema economico, ma è cambiato il mondo. «Una volta l’imprenditore del Nord Est era convinto della propria unicità, della propria capacità, era concentrato sul lavoro e sull’inventiva. E alla fine ce la faceva – sottolinea -. Ce la faceva nonostante tutto, nonostante i ritardi del sistema-Italia, nonostante la burocrazia e le tasse, nonostante le infrastrutture carenti. Oggi non è più possibile, la competizione globale è molto più complessa e non si regge senza una politica industriale capace di ripensare il Paese. Questo significa che le aziende, per quanto innovatrici e internazionalizzate, non possono salvare da sole una nave senza una rotta e senza una bussola. Il Paese soffre di lacune significative in termini di visioni di prospettiva».

La presentazione del XIV Rapporto non è però un momento per rimarcare le consuete richieste a chi dovrebbe governare l’evoluzione di uno scenario competitivo – sburocratizzazione, efficienza, riduzione del cuneo fiscale, riduzione delle tasse, agevolazione negli investimenti, sostegno alla R&D – ma è piuttosto l’occasione per focalizzare un obiettivo forte in chiave prospettica. «Il Nord Est può tornare a creare ricchezza, trainando l’economia del Paese, se riuscirà a giocare la carta di un nuovo manifatturiero ad alto valore aggiunto – afferma Peghin -. Risulta strategico rivalorizzare la vocazione industriale integrata ai servizi, centrando il concetto di made in Italy sul peso della qualità, mettendo a sistema il manifatturiero con i comparti trainanti che sono del made of Italy quali l’agro-alimentare, l’artigianato artistico, il turismo, la cultura, i trasporti».

L’idea che una possibilità per lo sviluppo sia impegnarsi nella costruzione di un nuovo manifatturiero – emerge dal Rapporto – è un orizzonte condiviso da larga parte degli imprenditori nordestini (77,3%), benché il 22,7% metta in luce come tale traguardo non sia plausibile per l’intero sistema manifatturiero. Un processo auspicato per mantenere la competitività dei territori, tuttavia non indolore e non estendibile erga omnes: ben tre interpellati su quattro (75,7%) sottolineano come un simile percorso non potrà che coinvolgere solo una parte delle imprese manifatturiere.

Certo l’identità industriale non può più essere l’unica dimensione economica e sociale su cui poter contare. «È necessario disporre di uno spartito di elementi, tutti ben coordinati fra loro, per rilanciare un’area – si legge nel Rapporto -. Nel contempo, però, il manifatturiero è quello che contribuisce in misura rilevante alla creazione della ricchezza, oltre che – nel Nord Est – costituire un pezzo rilevante dell’economia non solo nazionale, ma anche europea. Ecco perché è utile, per guardare al futuro, porre attenzione alle imprese di questo settore, analizzarne le trasformazioni e le strategie, seguirne i percorsi. Perché “quelle che ce la fanno” possono rappresentare un esempio anche per chi oggi è più attardato o è in difficoltà. Per rendere lo sviluppo, finalmente, più sistemico e meno estemporaneo».

Innovazione radicale e competizione culturale

Che la competizione si giochi in buona misura sul piano culturale è giustificata da alcuni aspetti di contesto generale che attraversano (anche) il Nord Est:

  • Continuiamo, e continueremo in futuro, ad agire in una condizione di sostanziale incertezza. I due terzi degli imprenditori (71,3% nel Nord Est; 66,6% in Italia) interpellati sulla durata della crisi prevedono che, a oggi, non terminerà prima di un anno e mezzo, ovvero a metà del 2015. Erano il 34,9% nel 2010. Il 47,0% delle imprese iscritte a Confindustria in Veneto, al quarto trimestre del 2012, aveva un portafoglio ordini della durata inferiore a 1 mese ed era al 42,4% all’inizio d’anno.
  • L’incertezza è un portato della flessibilità generata dalle nuove tecnologie, che rendono le informazioni più veloci e gli scenari soggetti a mutazioni rapide. La velocità (nelle scelte, nelle risposte ai clienti, negli investimenti) diventa un criterio di competitività.
  • Si afferma criterio della molteplicità, difficile da categorizzare. Si fatica a distinguere dove finisce la “fabbrica” e dove iniziano i “servizi”. Siamo in presenza di fenomeni di ibridazione che evidenziano i processi di trasformazione del manifatturiero.
  • Il quinquennio di trasformazione ha innescato un processo di selezione nel sistema produttivo: da un lato imprese con performance positive – più strutturate, con significativi investimenti nell’innovazione e nel capitale umano, aperte ai mercati esteri – e dall’altro imprese in difficoltà – generalmente più piccole, mercato domestico, prive di processi di upgrading.

Le performance del Nord Est

Nonostante un iniziale abbrivio di risalita, il 2013 si caratterizza ancora per indicatori di sofferenza e di modifica del sistema economico e sociale.

All’interno del sistema produttivo, i primi cinque settori del manifatturiero nordestino (meccanica, alimentare e bevande, altri Intermedi, prodotti in metallo e sistema moda) generano più del 63% del valore della produzione e impiegano circa 445mila addetti. L’importanza della manifattura artigiana nordestina (67,5%) continua a essere elevata. Un riverbero di questa peculiarità si evidenzia nella strutturazione delle imprese, che nel Nord Est è caratterizzata da una rilevante presenza di società di medie dimensioni (fatturato fra 10-50 milioni) che realizzano il 24% del Pil, a fronte di un peso modesto delle grandi imprese.

Il sistema manifatturiero delle tre regioni ha saputo mantenere una migliore vivacità di crescita nel corso dell’ultimo decennio (2000-2011). Il fatturato medio annuo è cresciuto del 3,8%, mentre a livello nazionale si è fermato al 2,9%. Ma le stime di Prometeia (2012-2013) indicano una flessione pari al 7% per il fatturato delle imprese manifatturiere del Nord Est.

Le stime di Prometeia, così come di altri centri studi, prevedono una nuova ripartenza dell’attività manifatturiera nel 2014. Anche la composizione della popolazione, pur nel suo incedere lento dei fenomeni, tuttavia presenta alcuni mutamenti di interesse nel lungo periodo (1991-2012), con la popolazione residente aumentata di oltre mezzo milione, attestandosi a 7,1 milioni di abitanti. Il suo peso relativo a livello nazionale era dell’11,4% (1991), mentre oggi è cresciuto al 12% (2012).

Lentezza, a-sistematicità, polarizzazione

Le analisi contenuti nel Rapporto, pur nelle diverse prospettive, sembrano convergere su almeno tre temi di fondo.
Il processo di cambiamento, in particolare nel sistema produttivo, è caratterizzato da un’eccessiva lentezza. Tale lentezza è accentuata dalla velocità che caratterizza il nostro tempo, radicalmente più elevata rispetto anche a pochi anni addietro.
Si conferma la scarsa propensione sistemica degli attori produttivi, sociali e istituzionali. Sul versante imprese i processi di aggregazione procedono a rilento. Nel Nord Est un terzo delle imprese (33,6%; 27,9% in Italia) dichiara di avere realizzato un’aggregazione, un consorzio, un contratto di rete o una joint venture, ma non aumenta la quota di quanti ritengono utile aprire il proprio capitale a soggetti terzi per aumentare la competitività (solo il 14,6% manifesta un orientamento positivo o l’ha già realizzato, 19,1% in Italia).
E poi ancora polarizzazione del sistema produttivo per innovazione e apertura ai mercati esteri. Le imprese Super Innovatrici che hanno investito su prodotto e processo nel Nord Est scendono alla soglia del 17,9% (22,9% in Italia), più che dimezzandosi rispetto al 2012 (erano il 39,0%, 34,0% in Italia). I processi di internazionalizzazione nel 2013 raggiungono nel Nord Est quota 50,9% (44,5% in Italia).

Proiezioni e attese

Le rilevazioni congiunturali sulle imprese iscritte a Confindustria segnalano un arresto della caduta. Non si può sostenere di essere all’avvio della ripresa, MA la situazione pare essersi assestata e qualche primo spiraglio positivo comincia a intravvedersi.
La disoccupazione è di gran lunga il problema più importante che dev’essere affrontato (52,9%; era l’11,4% nel luglio 2008). La fiducia nelle istituzioni degli imprenditori rimane su soglie minime. Il perdurare della crisi economica ha allentato negli anni la percezione degli imprenditori del Nord Est di essere centrali in Italia sotto il profilo economico e politico (21,6%; aveva toccato il 41,2% nel 2009), di avere un peso esclusivamente economico (43,1%; era il 52,7%, nel 2007), ma soprattutto di aumentare la propria marginalità sia politica che economia (34.0%; era il 15.1% nel 2007).

Il nuovo manifatturiero

Viene evocata la necessità di traghettare l’industria verso un nuovo manifatturiero, avviando un cosiddetto “rinascimento industriale” – in linea con gli input dall’UE.
Se la costruzione di un “nuovo manifatturiero” è un orizzonte condiviso dagli imprenditori nordestini, che pure non lo vedono esteso a tutti, fra gli obiettivi proposti gli imprenditori del Nord Est sottolineano alcuni elementi chiave:

  • investimenti nell’innovazione (65,5%) organizzativa, tecnologica, di processo e di prodotto, meglio ancora se radicale e meno incrementale.
  • formazione del capitale umano (48,4%)
  • apertura ai mercati esteri (32,4%)
  • alleanze fra imprese (23,1%)
  • capitalizzazione delle imprese (14,9%)

Una volta individuate le direttrici strategiche lungo le quali incamminare un percorso di costruzione del nuovo manifatturiero, provando a identificarne i tratti distintivi si scopre che gli imprenditori del Nord Est si dividono: prevale leggermente l’idea che l’identità si giocherà nella capacità di sviluppare produzioni di nicchia a elevato valore aggiunto (38,6%), ma è valutato fondativo il puntare su produzioni di elevata qualità (30,8%) così come assegnare centralità al cliente finale (30,6%). Si tratta, evidentemente, di tre aspetti non necessariamente in competizione fra loro e costituiscono assieme l’identità plurale del nuovo manifatturiero. Produzioni a elevato valore aggiunto in mercati di nicchia, qualità del prodotto e centralità del cliente rappresentano la vision del nuovo manifatturiero.
Le imprese sono invece pressoché unanimi sulle precondizioni utili a favorire lo sviluppo del nuovo manifatturiero: la revisione delle politiche industriali (92,4%), la riduzione della tassazione per le attività d’impresa (90,4%), il cambiamento culturale nel modo di fare impresa da parte degli stessi imprenditori (91,7%), l’investimento nei settori a più elevato contenuto tecnologico (89,6%). L’opzione principe però attribuisce peso più al sistema paese che all’iniziativa delle stesse imprese.

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